Il viaggio interiore di Miklòs Jancsò. Dal 4 aprile “I disperati di Sandor” e “L’armata a cavallo” disponibili in dvd

In occasione dell’uscita in cofanetto, disponibile dal 5 aprile, de “I disperati di Sandor” (1966) e “L’armata a cavallo” (1968), proponiamo un contributo dello storico del cinema Ugo G. Caruso sul regista Miklòs Jancsò, morto a Budapest nel 2014.

 

Il viaggio interiore di Miklòs Jancsò. Dal 4 aprile “I disperati di Sandor” e “L’armata a cavallo” disponibili in dvd

L’armata a cavallo

Va ricordato che Miklos Jancso, un tempo molto ammirato da certa critica e da frange della cinefilia più raffinata e “oltranzista”, è stato uno dei cineasti più rappresentativi del cinema moderno, “un autentico mito della controcultura europea e della rivoluzione sessuale interrotta”.

La sua cifra stilistica, personale e riconoscibilissima, nella considerazione comune, coincide appunto col piano sequenza, soluzione espressiva da lui adottata non già per vizio formalistico ma di cui esplorò ogni potenzialità. Nonostante la fortuna critica degli anni sessanta e settanta i suoi film hanno avuto in Italia una circolazione limitata a circuiti ristretti come i festival, le rassegne, i filmclub.

Vizi privati, pubbliche virtù, girato nel 1976 in Croazia, è il suo titolo più noto in Italia anche per il clamore che sollevò a suo tempo per i problemi con la censura. La pellicola fu sequestrata e il processo costò una condanna in primo grado per oscenità al regista e a Giovanna Gagliardo. Il film è interpretato da Lajos Balàzsovits, abituale collaboratore di Jancso e da un cast prevalentemente italiano tra cui troviamo Laura Betti, Pamela Villoresi, Franco Branciaroli, Susanna Javicoli accanto allo psicoanalista Umberto Silva, a Therese Ann Savoy e ad una giovanissima Ilona Staller. Da assiduo frequentatore ultratrentennale delle cinematografie dell’Europa dell’Est e in particolare di quella ungherese, ho voluto fortemente rompere il silenzio che da tempo avvolge non solo Jancso, ricordato alla sua morte dai giornali italiani con scarni trafiletti, ma tutti gli autori di quell’utopia cinematografica fortemente antihollywoodiana che segnarono indelebilmente gli anni sessanta e settanta.

L’originale discorso di Miklos Jancso parte da un excursus nella storia magiara per pervenire attraverso la rappresentazione allegorica dei suoi momenti cruciali nei secoli, a un’indagine su quella che proprio allora si cominciava a chiamare “microfisica del potere”. Di idee liberal-radicali, fu inviso ai dirigenti comunisti più ortodossi del suo paese che lo accusarono di “nazionalismo” ma che erano in realtà spaventati dalla carica erotico-libertaria della sua opera, vicina alle tematiche reichiane condivise con Dusan Makavejev e capace di influenzare il nostro Pasolini.

I titoli più celebri della sua ricca filmografia come Sciogliere e legare, Sono venuto così, I disperati di Sandor, L’armata a cavallo, Silenzio e grido, Venti lucenti, Scirocco d’inverno, Agnus dei, Elettra, amore mio, Rapsodia ungherese, Allegro barbaro, La stagione dei mostri, ancor più di quelli del suo lungo periodo italiano (La tecnica e il rito, La pacifista, Roma rivuole Cesare, Il cuore del tiranno) evocano scene corali nel tempo di un andante maestoso, una sorta di danza popolare ripresa in piano sequenza negli ampi spazi della puszta ungherese che ritornano da un film all’altro ma di cui è sempre protagonista la Storia, raccontata in modo antimanicheistico e spogliata della sua retorica. Immagini che invitano a un viaggio interiore, iniziatico, ludico e funebre al tempo stesso. Esse rispondono a un’idea di cinema di cui sente forte la mancanza chi ha vissuto o si è formato in quelle stagioni ma di cui ancor più soffrono l’assenza, senza saperlo, proprio quelle generazioni di ventenni e trentenni che non l’hanno conosciuta.