I fenomeni celesti di Socrate. “Le nuvole” di Aristofane, regia di A. Maggi (2011)

Le nuvole 

di  Aristofane
regia di Alessandro Maggi, traduzione di Alessandro Grilli
scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta, musiche di Antonio Di Pofi
movimenti coreografici a cura di Dario la Ferla
Con Mariano Rigillo (Strepsiade), Giacinto Palmarini (Fidippide), Antonio Zanoletti (Socrate), Mauro Avogadro (Discorso migliore), Anna Teresa Rossini (Discorso peggiore), Federica Di Martino (Corifea). Coro composto da Chiara Catera, Simonetta Cartia, Elena Polic Greco (voci soliste), Carmelinda Gentile, Doriana La Fauci, Valeria Lombardo e dagli allievi dell’Accademia d’Arte dell’Inda.
Siracusa. Teatro Greco. Prod. Inda (2011)

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Redatta intorno al 423 a.c. da un Aristofane ancora giovane (era nato a Citadene nel 445 a.c.), “Le nuvole” è considerato uno dei referti più sferzanti e imperituri della commedia attica antica. A torto o a ragione, non abbiamo titoli per dire si o no, considerata l’esiguità delle opere (della classicità ellenica) sopravvissute alla polvere dell’oblio e dell’incuria umana. Cui la censura dei monasteri e di anonimi “conservatori” bigotti diedero forte “aiuto” per quel che il medioevo ebbe da espropriare ad ogni eredità di cultura “profana” (ben lo dimostrava Umberto Eco con la maratona saggistico- letteraria de “Il nome della rosa”).

Nella commedia inscenata a Siracusa ritroviamo, immutate nel tempo, le brusche temperie dell’anziano Strepsiade, sull’orlo della bancarotta a causa dei debiti accumulati dal figlio Fidippide, tracotante scommettitore in corse di cavalli e, in genere, amante del bel vivere per quel che era possibile nella città di Atene, successiva all’età di Pericle, amaramente “imbarcata” nella guerresca rivalità con Sparta.

L’idea soccorritrice è invogliare il baldo giovane ad affinare etica e raziocinio incitandolo a frequentare la scuola di Socrate e dei peripatetici. Quindi imparare (con dolo premeditato) a “rendere più forte il discorso più debole”, così da poter vincere sui creditori servendosi in tribunale di argomenti astrusi ed ampollosi. Dinanzi al rifiuto del figlio, il padre si reca al cospetto del corrusco filosofo, che – allegoricamente – gli appare sospeso in aria, assorto a scrutare improbabili fenomeni celesti. Per ottenere quanto desidera – affermerà il maestro – Strepsiade dovrà abbandonare gli dei della tradizione ed affidarsi alle Nuvole, uniche divinità attendibili….

Tanto e tanto vi sarebbe da obbiettare (sia dal punto di vista storico, sia da quello strettamente filosofico) sull’acredine, il pregiudizio, la schietta antipatia che “il conservatore” Aristofane nutriva nei confronti del suo coetaneo e “illuminato” pensatore, fermamente convinto della relatività di ogni “sapere” e della conseguente necessità di una maieutica dialogica – induttiva. Con incidenze -nell’ambito dell’evoluzione dell’intelletto occidentale – francamente incommensurabili rispetto alla parodia del guru fanfarone (o filibustiere da caricatura) che Aristofane riesce a sbozzare con sollazzo e pregiudizio. Incorrendo, soprattutto, nell’errore (marchiano) di far tutt’uno di Socrate e della scuola sofistica (Protagora e seguaci) da cui il primo s’era distanziato avendone però assimilato l’essenza metodologica concernente la separazione tra il doxa (l’opinione) e l’episteme (la certezza).

Non sappiamo fino a che punto tali argomentazioni possano interessare (ma dovrebbero) la recensione teatrale, alla quale può anche “bastare” la dovizia di colore e sarcasmo di cui è provvida la creativa maldicenza di Aristofane: in quella prospettiva di teatralità cabarettistica, sfottente, loquacemente ridanciana cui tutto è concesso, tranne l’apparentamento con l’humus tragico della “satira”, almeno come noi la intendiamo dal Ruzante e dagli Zanni sino a Lenny Bruce, Dario Fo. Sino ad Antonio Albanese, Paolo Rossi, Corrado Guzzanti

E’ quindi in questa prospettiva, sostanzialmente sobria, elegante (e dal registro espressivo misurato ma possente) che va valutata, in positivo, la messinscena di Alessandro Maggi, provvigionato dalla fervida, vivace traduzione di Alessandro Grilli e da un costrutto scenografico che risale ai “segni” dell’epigrafe per meglio contrastare la scelta di una costumistica in abiti ordinari, genericamente contemporanei. Nel generale apprezzamento dei contributi attorali e nella scelta (fondamentale) di alleggerire Aristofane da tutti quegli orpelli (e svolazzi) genere Bagaglino in cui è parso soccombere in altre, non memorabili occasioni.

Contesto nel quale lo spettacolo si dispiega (prevalentemente) nello spazio dell’orchestra, accordandosi alla cadenza di una lenta musicalità che accompagna l’agire scenico con la discrezione di una colonna filmica, e poi lasciando che i tempi comici vengano stemperati in una sorta di dimensione attutita e riflessiva: più degna dell’elegia che del cachinno goliardico.. Ma va bene così.

 

*Recensione pubblicata nell’estate del 2011 dalla rivista Sipario.it