Familismo allo specchio. “A casa tutti bene” di Gabriele Muccino
Gabriele Muccino, retour d’amerique, viene a proporre mobilitando una troupe affollata di star consolidate e di stelline in ascesa del cinema nostrano, una incursione intricata tra i casi complessi di padri, madri, figli, fratelli, mogli e finitimi di una umanità in parte ammaccata dai rischi contemporanei, in parte (apparentemente) appagata di una sorte benigna: tutti insieme appassionatamente in un “fuori stagione” forzato nella villa fastosa di famiglia, ad Ischia.
L’intento del cineasta romano è pressappoco quello per lui abituale: indagare a fondo i rapporti problematici che, dato il luogo preciso e stabilite le condizioni obbligate della convivenza eterodiretta dall’azzardo, tra tutti i convitati a quella folta rimpatriata nutrita di incontri-scontri quasi mai troppo cruenti ma che, pure, lasciano il segno. L’occasione per questa informale “resa dei conti” è data dalla fausta ricorrenza delle nozze d’oro tra gli attempati nonni in vena di raccattare attorno a sé, l’intiera loro progenie per un limitato numero di giorni.
L’imprevedibile, tuttavia, determina, tramite una furiosa mareggiata, il procrastinarsi del preventivato raduno a termine per un periodo indefinitamente più lungo. Tanto che la variegata congrega di convenuti si troverà costretta di giorno in giorno ad una serie di vicende, situazioni, eventi via via coinvolgimenti per ognuno dei personaggi variamente accoppiati per parentela, matrimoni, figliolanza e contiguità varie.
Dato questo clima di commistione, presto la frequentazione obbligata susciterà tra tutti i presenti alterni e reversibili sentimenti di affetto o di repulsione. More solito, dunque, quel che accade normalmente allorché si è condizionati dal contatto fisico a subire cose che, in diverse circostanze, chiunque rifiuterebbe di fare. Tutto ciò anche in termini contrastanti – ora su aspetti gradevoli o persino ironici, ora con coloriture gravi o al limite drammatiche – persistendo l’incombenza di un’esistenza costretta in un luogo chiuso. Insomma, una afflizione che pur senza sconfinare in questioni intollerabili, contribuisce a creare un disagio che, da un lato disturba non poco, dall’altro disvela vecchie magagne e intuibili dispetti: come si dice, le gioie e le jatture della famiglia. Anzi, della famiglia tout court.
Gabriele Muccino su questo terreno ha già mostrato e dimostrato ad abudantiam di saper muovere con abilità le sue pedine in un gioco che nei suoi precedenti film – Come te nessuno mai, L’ultimo bacio, Ricordati di me – giostravano sentimenti e risentimenti, incanto e disincanto con disinibita scioltezza. Qui in questa più matura prova, appunto A casa tutti bene, il gioco si fa oltremodo più controllato: sarà per la profluvie di personaggi, di casi sentimentali o patetici, la sequela di episodi, di storie si fondono, si confondono in una girandola sbrigliata di emozioni prevedibili e di approdi tutto sommato scontati. È un familismo di maniera che domina il racconto puntando resoluto verso la constatazione pura e semplice della banalità del reale, l’ovvio specchio del déja vu o poco di più.