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Angelo PIZZUTO- Shakespeare tra i gitani (“Molto rumore…” regia di G.Sepe.Teatro Eliseo,Roma)




Teatro  Il mestiere del critico

SHAKESPEARE TRA I GITANI

In “Molto rumore per nulla” regia di Giancarlo Sepe.  All’Eliseo di Roma

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Meritava forse maggiore attenzione di quella che –mi pare- abbia suscitato fra critici, spettatori e gli ineffabili ‘addetti ai lavori’ (definizione sempre vaga e sibillina) lo shakespaeriano “Molto rumore per nulla “ andato in scena al Teatro Elliseo di Roma, con la regia di Giancarlo Sepe,  la cui ‘prima donna’ dovrebbe essere(e in qualche modo  resta) la soavità fantasmagorica, intrigantemente lirico\onirica del Bardo immaginifico. Elementi di invenzione ed ispirazione   ispirati  all’  affabulazione medievale, declinati su parole, dialoghi, coralità di volta in volta (o simultaneamente)   sussurrate, appassionate, rabbiose, menzognere, sublimanti (di sentimenti taciuti).

Tutte “ potenzialità performative- leggo dalle note di regia- che riescono a muovere guerra o amore, instillare lo sdegno o il dubbio”, quindi  capaci di mutar forma e segno alle mirabilia di un’enclave favolistica,  “straniandola per poi non riconoscerla”, se non a tempo debito, ovvero allo scioglimento (senza demiurgo) di ogni equivoco ed intreccio amoroso. Elevando l’ allora ignota (ma chissà perché fascinosa) città di  Messina a  cornice\vago luogo che ingloba   due tramature di narrazione contrapposte, emulsionate e perfettamente equilibrate: nell’una, che lega il giovane Claudio alla bella Hero figlia del governatore della città Leonato, l’amore è macchiato e ostacolato dall’inganno teso da Don John; nell’altra l’amore,  che unisce Benedetto e Beatrice, esso giace nascosto da un sentimento bellicoso (‘la allegra guerra’) che, mediante il dubbio alimentato da Don Pedro,  cederà poi il posto alla pura passione.

“ Il vano parlare, da un lato infama un sentimento puro e giovane e dall’altro ne alimenta uno già esistente, ma per orgoglio celato”- puntualizza Sepe.   Il cui adattamento trasvola  gli accadimenti, dominati da   Eros e dal Fatto,  in un una sorta di campo nomadi, che da  agio all’allestimento (dal punto di vista  figurativo) di esemplare i suoi ‘lari’ colti e iconografici, antichi e moderni-   che vanno dal “Circo Squeglia” di Viviani a “La recita” di Anghelopous, con tutte le doviziose farciture espunte dalla filmografia di Emir Kusturica.  Sicchè i ‘gran signori’ del testo originale indossano panni tzigani e colorati, fitti di  lustrini,  giacche a forma di paltò  e gonne ampie e  ‘lussuriose’. La scena , che non ha quinte né fondali (come ‘strada’ felliniana) è una sorta di ‘luogo di sosta e passaggio’ dove il team degli interpreti  ascolta e partecipa al racconto.

In un habitat così stratificato ciascuno di essi partecipa di  un mélange linguistico reso ibrido da  inflessioni vocali e dialettali di promiscua provenienza italica, con comprensibile supremazia del gergo siciliano e partenopeo .

Proseguendo quell’ideale ‘laboratorio’ di gruppo avviato anni or sono con “Napoletaltango”, Giancarlo Sepe sta ancora a capo  di inflessioni e scritture sceniche ‘affollate’ ma puntuali, ‘per ordine sparso’ ma di ineccepibile orchestrazione: nel senso (semplice e complesso) che  ciascun attore ed attrice delinea il proprio ruolo, rispettando quella che Shakespeare ‘intendeva’ fosse ‘la caratterizzazione a tutto tondo’ dei personaggi. Non per limitarne le potenzialità, ma per lasciare al ‘piacere’ dello spettatore ogni connotazione aggiuntiva alla ‘visibilità’ dei caratteri e delle circostanze. E   con lodevole notazione per i due protagonisti. Sdegnosa, petulante, saccente  la bella Francesca  Inaudi (nel ruolo di Beatrice); impacciato, goffo, debitamente  misogino,  Giovanni Scifoni che dà variabili (risibili) umori al personaggio di il Benedetto. Ispirandosi, senza farne mistero (e nemmeno plagio) al  Kenneth Branagh  del suo sapido film datato 1993.

Tutto per bene? No.   C’è  chi eccepisce, in questa    ennesima variante delle ‘moralities’ shakespeariane, la carenza di grinta, rischio, gusto della sperimentazione e dello spiazzamento (i punti di vista ‘multipli’ – cangianti  tasselli  nella creatività del regista) che sono humus e ragion d’essere del teatro ‘inventato’ da Sepe  nel minuscolo (funzionale) spazio trasteverino della “Comunità”.  Osservazione pertinente ma –crediamo- ingenerosa, che nulla tiene in conto della differenza fra diversi ‘contenitori’. Siano essi l’ex underground di ‘cantina’ o i diktat impliciti del teatro di repertorio con luoghi,  abbonati e  attese di tradizione. Lavorare su commissione (capita a Sepe, come a qualunque regista) comporta, alla fonte, alcune rinunce ‘contrattuali’ fissate dalle apprensioni dell’ impresariato.

Vogliamo che ciò sia colpa (o peccato veniale) in tempi talmente infelici in cui andare in scena e ‘fare borderò’ resta un’incognita ad alto rischio pecuniario?

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“Molto rumore per nulla”  di William Shakespeare. Traduzione, adattamento e regia di Giancarlo Sepe.  Conn Francesca Inaudi, Giovanni Scifoni, Pino Tufillaro, Leandro Amato, Daniele Monterosi, Lucia Bianchi, Mauro Bernardi, Daniele Pilli, Valentina Gristina, Claudia Tosoni, Camillo Ventola, Fabio Angeloni. Produzione di Francesco Bellomo per il Teatro Eliseo di Roma