Lo tsunami neopuritano

Jude Law e Woody Allen sul set del nuovo film “A Rainy Day in New York”

L’onda d’urto di un neopuritanesimo privo di discernimento ha investito in pieno anche il Maestro Allen. La lista degli attori che hanno dichiarato di non voler più lavorare con il regista newyorkese è ormai lunga: Rebecca Hall, Mira Sorvino, Ellen Page, David Krumholtz, Griffith Newman, Greta Gerwig, Natalie Portman, Colin Firth…

Le scelte personali, chissà fino a che punto sincere, sono sempre legittime, tuttavia è difficile non provare sconcerto; evidentemente uno dei fondamentali principi giuridici statunitensi – “ognuno è innocente fino a prova contraria” – non vale per tutti, o è cambiato a nostra insaputa. In seguito alle accuse della figlia adottiva Dylan Farrow, Allen è stato legalmente investigato in due Stati (New York e Connecticut), e le indagini non hanno portato ad alcuna incriminazione.

Ci si chiede dunque il motivo di tanto accanimento nei confroni di un uomo che, per inciso, ha superato gli 80 anni. Il motivo reale. Il tentativo di fare del politically correct una vera e propria religione? Di purificare col ferro e col fuoco quella Babilonia che è sempre stata Hollywood? Di sostituire la presunta dissolutezza con l’ipocrisia? Qualunque esso sia, provando una certa avversione per i normalizzatori, per coloro che si illudono di poter comprimere le pulsioni entro muretti angusti, fa più paura e orrore dei molestatori veri o immaginari.

Si avverte anche la sensazione che non sia esattamente aderente a un concetto illuminato di giustizia attaccare la vita privata di un individuo per impedirgli di continuare a esprimersi in ambito artistico e professionale. Altrimenti non dovremmo più leggere Céline per il suo antisemitismo, e tanti altri per i motivi più vari.

Sarebbe auspicabile che tutti, al di là e al di qua dell’Oceano, ci fermassimo a riflettere sul fatto che, stringendosi sempre di più, il cerchio potrebbe arrivare a soffocare chiunque di noi.

 

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