Il mestiere del critico
DELBONO E IL NOSTRO QUOTIDIANO TORMENTO
“Orchidee” al Teatro Argentina di Roma
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Probabilmente, insieme ad Antonio Latella e Romeo Castelluci (leader dei “Raffaello Sanzio), Pippo Del Bono, dopo la scomparsa di Carmelo Bene, Leo De Berardinis, Giancarlo Nanni, rappresenta quanto di meglio,azzardato, innovativo (senza sensazionalismi) offra, per il momento, lo scarno ed economicamente falcidiato, teatro di ricerca italiano. In più, con Carmelo Bene, Delbono condivide la capacità di gestire sia la ripresa cinematografica, sia lo spazio scenico (le ‘tavolozze bianche’ da ‘imbrattare con metodo e debita follia’- si riprometteva il Salentino) con assoluta indipendenza, eccentricità (ai limiti dell’estemporaneo, della meditata improntitudine), sciolto da committenze ed immediate finalità. Ne adducono esempio possenti cortometraggi (quasi tutti centrati sul rapporto tra emarginazione sociale e malattia del corpo, usata come ‘insulto al pubblico’ vegetativo) quali “Guerra”, “La paura”, “Sangue”,”Amore e carne”, premiati (in sezioni collaterali) in diverse rassegne europee, ma praticamente invisibili allo spettatore peninsulare. Peculiarità non secondaria, tutt’altro, è l’avere rinunziato Delbono alla video o cinepresa tradizionale e di esercitarsi (come un secolo fa Abel Gange faceva con la pellicola super8) con le potenzialità della ripresa tramite IPad telefonico, inteso come ‘cellulare’ full optional e (per gli addetti ai lavori) progressione tecnologica del ‘pedinamento della realtà’ zavattiniano.
Con il nuovo “Orchidee”, andato in scena al Teatro Argentina di Roma, Pippo Delbono (che molto attinge alla lezione di Pina Baush, ma con rito e corporalità studiatamente sbilenchi, catatonici, stazzonati) mira –mi è parso- ad un coinvolgimento del pubblico, esigente non solo intelletto, con-passione verso ‘gli ultimi’,ma una sorta di requiem emozionale che si coagula nel ripetuto uso (sullo schermo a fondale) di sequenze desunte dalle sue opere cinematografiche e nella ‘spoliazione’ (egocentrica, autoreferenziale, ma di forte impatto subliminale) del proprio dolore (‘non pudico’, ‘persino umiliante ed espiatorio’)) dinanzi all’agonia (wendersianamente filmata, come fu con Nicholas Ray) della madre scheletrica, su di un ruvido letto d’ospedale e le braccia bucherellate dal martirio della flebo e altre palliative sostanze. Il tutto nella registrazione ‘immota’e impotente, ‘ansiosa di seguire le linee di una geografia amorosa’ che va impressa nella mente del figlio per tutto il tempo che verrà. E se tempo verrà.
In tal senso sarà quindi la morte in diretta a dare un briciolo di senso a ciò che noi ci ostiniamo a ‘dire vita’ – nonostante la sua scaturigine umiliata, offesa, ridicolizzata da chi non ha mai avvertito il brivido o la vertigine del nichilismo,del ‘non sense’, della fede in un ‘bel nulla’. Come in un rito primigenio e propiziatorio di un dolore più stemperato e col tempo rimosso nelle stanze dell’oblio’. Mentre il prologo e l’epilogo di “Orchidee” infliggono (alla madre, a noi che assistiamo) la ‘condanna’ e la ‘pietas’ di chi deambula da ‘reietto’ (a come Pippo che attraversa la platea con passo impacciato, sbilenco, confusionale), in un tempo che non è più consono ad alcuna delizia o attimo di beatitudine E restando inevase (e meno male, se no sarebbe teatro a tesi) le domande se degrado , poltiglia, mucillagine umana dipendano da complotti, inettitudine, indolenza nel guardare in faccia (per debellarla? Come?) la Gorgone che ci rende ‘consumatori e oggetti di altri consumabili oggetti’ .
Ed essendo purtroppo questo il solo tempo, la sola epoca in cui ‘il gioco dei labirinti, dei bussolotti, dei capricci cosmici’ (grazie Borges) ci ha scaraventato per testimoniare, innamorarci, andare in escandescenze, ubriacarci (tra entusiasmo e dolore) per ‘scontare ‘vivendo’ l’unico e non barattabile finale di partita che a ciascuno è concesso. Proprio nella neo-acquisizione di uno Sciascia post-esistenziale pari ‘a ciascuno il suo’.
Del resto, stando a Kerouac, che Delbono cita a volontà, sin dai ricordi dell’infanzia, “questo mondo non ci piace, ma non c’è altro posto dove stare”. Ed essendo “Orchidee” (fiore per corteggiatori sciapi, asettico e anaffettivo, di cui è difficile distinguere il vero dal falso (in genere plastificato) una performance pressoché perfetta, coerente sino allo strazio di membra e parole, puntuale sino al cronometrico nella sua apparente sciatteria, improntitudine, insubordinazione a un tracciato prestabilito. Abbacinante come graffiti da un sottosuolo metropolitano in cui vanno a ‘trafiggersi’ come schegge casuali ma suggestive il “Nerone” di Mascagni in play back, l’immancabile Bobò, compagno di viaggio (piccolino, paraplegico, quarant’anni di reclusione in manicomio) del regista, che pur se non vede non sente è forse il vero protagonista della serata: dando continuità al peregrinare inquieto e proficuo dell’intera compagnia. In coesistenza con ‘inserzioni’ dai Deep Purple, Nino Rota, Philip Glass, Joan Baez, lungo il risaputo filo di sospensione (ad alta quota e nessun rete di proiezione) tra pseudo-realtà e pseudo finzioni che esulano dalle normali categorie del teatro ‘di repertorio’ e dalla fruizione per abbonati. “Se Orchidee non vi piacerà, potrete sceglierne un altro in cartellone. Gratis”- avverte Delbono, con voce fuori campo, prima che tutto abbia inizio, a sipario già aperto. Ma nessuno, direi, è andato via deluso.
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“Orchidee” Ideazione e regia Pippo Delbono. Foto e riprese filmate di Pippo Delbono, Karine De Villers e Mario Brenta Con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Bobò, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella. Luci Robert John Resteghini, Direzione Tecnica Fabio Sajiz, Suono Corrado Mazzone, Luci e video Orlando Bolognesi Elaborazione costumi Elena Gianpaoli, Capo macchinista Gianluca Bolla, Responsabile produzione Alessandra Vinanti, Organizzazione Silvia Cassanelli
Produzione Emilia Romagna Teatro Formazione, Teatro di Roma, Nuova Scena – Arena del Sole – Teatro stabile di Bologna, Theatre du Rond Point-Parigi, Maison de la Culture d’ Amiens – Centre de Creation et de Production – Roma, Teatro Argentina