Gli afrori bestiali di “Riccardo III” al Teatro del Canovaccio di Catania

Sette giovani uomini e donne, inarrestabili, carnali e metaforici, in una congerie artata di abiti discinti, talari, di varie fogge ed epoche, vagamente evocative dell’Inghilterra degli York, feroce e lontana, ma non troppo, tra musiche hollywoodiane, francesi, squarci comico-grotteschi intrecciati a esplorazioni dove il dramma si rivela improvviso e quasi inaspettato, nel linguaggio splendidamente ridondante del drammaturgo inglese, si dipana la trucida vicenda della sanguinolenta successione al trono di “Riccardo III” di William Shakespeare, al Teatro del Canovaccio di Catania, con l’adattamento e regia di N. Alberto Orofino.

Lo storpio, crudele pretendente al trono tra fratricidi, infanticidii, assassinii senza distinzione di sesso, età, condizione sociale, coscienza (la cercheranno al buio due anime nere, inutilmente) annaspa in scena zoppicante, spargendo miasmi immondi e fetore corrotto.

E’ questa l’angolazione da cui sporge lo sguardo il regista: La Bestia al centro della storia, delle storie di tutti, della coscienza civile rimossa.

La formula straniante tesa sul filo di un taglio tragico-grottesco, quindi ancor più graffiante, è la cifra stilistica di questo provocante “Riccardo III” di Orofino. Il carosello infernale viene condotto con mano apparentemente leggera, in un susseguirsi di quadri e scene dove la miseria morale e la disperazione strisciano sul rasoio del ridicolo, trascinandoci verso l’abisso degli orrori senza quasi che si avverta la mostruosità sanguinaria del laido protagonista (un Riccardo repellente del convincente Daniele Bruno) se non fosse per quell’odore animale che emana dalla sua presenza inquietante.

L’esuberanza stilistica si snoda tra Eros e Thanatos, senza mezze misure, come i luridi pensieri di Riccardo, scelto per incarnare la sporca cupidigia senza freni inibitori di tutti noi, immolandosi per tutti su questo nero altare, sino al punto da sfiorare l’incredibile, che però è sotto i nostri occhi. La Bestia ci cattura, ci coinvolge duramente, ci inonda e sommerge, lasciandoci vivi, doloranti e sollevati. L’indagine del Male in Shakespeare è notoriamente condotta oltre i limiti. Questo varco scavato senza riserve nella mente umana conduce vittime e carnefici sullo stesso piano. E’ questo demone che rende eterne le opere shakesperiane e lascia intatta la voglia di cimentarsi con lui.

L’efferatezza della vicenda rivive in una scenografia scarna di sedie rosse polivalenti, culminante nella suggestiva panoplia pittorica dei ritratti di tutti i morti (ritratti dei veri protagonisti delle turpi, regali vicende) appesi in salmodia cimiteriale, sullo sfondo di un febbrile monologo dell’autore di tanta strage, in preda alla inevitabile disperazione di chi ha bevuto l’acqua dell’Inferno.

La terza tragedia dopo “Giulio Cesare” e “Misura per misura” per il giovane regista, attratto dall’unità del tema nella diversità della narrazione, stante alle sue note di regia dal chiaro titolo: Odore di bestia.

L’orrore della fiera attrae perché lo celiamo dentro di noi. Questa affascinante identificazione ci consente di far vivere il peggio della nostra natura ferina, ma senza conseguenze. I Greci la chiamavano catarsi. I tragediografi greci sono poeti, come Shakespeare, al servizio dell’uomo, con la coraggiosa imprudenza di chi ha deciso di scendere nell’oscurità della mente, di esplorarne le pieghe più riposte, senza nulla celare dei bassi appetiti che la coscienza ci impedisce di esplicitare, innalzandoli e purificandoli con un linguaggio universale. Indignazione perché anche noi indegni, disgusto perché anche noi disgustosi, disperazione perché anche noi disperati, in attesa di redenzione…

Una lezione di “bon ton” in punta di penna? O una dichiarata impossibilità di liberarci della bestia che grufola nel nostro stomaco? Il pendolo oscilla.

Certamente la geniale sfrontatezza della regia sempre sopra le righe di Orofino, condita da una energica e sinergica prestazione attoriale, riconduce alla sostanza universale dell’opera.

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RICCARDO III

di William Shakespeare

Adattamento e regia di NICOLA ALBERTO OROFINO

Con

Daniele Bruno, Carmelo Incardona, Raffaella Esposito, Vincenzo Ricca, Roberta Amato, Lucia Portale, Alessandra Pandolfini.

Costumi ROSY BELLOMIA

Luci SIMONE RAIMONDO

Produzione Teatro del Canovaccio

Al Teatro del Canovaccio di Catania fino al 3 Dicembre