Il mestiere del critico
ARIA DI NEOREALISMO
“Sole cuore amore” il nuovo film di Daniele Vicari
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Sol che si accenni al cinema neorealista compaiono naturali i fotogrammi strazianti del padre sconfitto di Ladri di biciclette consolato dal figlio in lacrime o l’immagine anche più intensa del professore disperato che in Umberto D. vergognoso accanto al suo cagnolino porge la mano (come a chiedere l’elemosina) ma poi, pentito, la ritrae in un gesto timido per constatare il tempo che fa. Entrambi i film ora citati sono il frutto della classica alleanza tra Vittorio De Sica e Cesare Zavattini: cioè, l’autentica radice drammatica e la sapiente poesia della vita.
A quegli stessi motivi ispiratori si può, ora, anche a distanza di settant’anni dalla stagione neorealistica, far risalire il nuovo, originale lungometraggio di Daniele Vicari (già autore di Velocità massima, Diaz, La nave dolce) Sole cuore amore, sorta di immersione tutta immediata, diretta nel colmo di fatti, di esperienze, di figure, di persone sbalestrati – parrebbe – in ruoli esistenziali destinati a caricarsi di giorno in giorno di problemi, incombenze via via sempre più gravi, devastanti.
Sono questi i punti-cardine della vicenda desolata della giovane sposa romana Isabella Viola (quattro figli a carico, un marito, mille impegni quotidiani, oltre il lavoro) sfiancata a morte da tanta fatica cui Daniele Vicari si rifà con Sole cuore amore interamente ruotante sui gesti, le parole, gli accadimenti usuali di Eli (Isabella Ragonese, qui al meglio delle sue risorse interpretative), appunto nella parte della disgraziata donna e della sua amica del cuore, l’altrettanto bistrattata Vale (Eva Grieco), ballerina di scarsa fortuna costretta a esibirsi in una discoteca per campare la vita, anche aldilà del rapporto logorante con i familiari insensibili e le esperienze negative. Il groviglio di problemi, di questioni ogni giorno ripetuto, conduce presto le due donne a una linea di condotta sempre più spossante, destinata di lì a poco a sfociare in un dramma fosco, disperato ove soltanto il prevaricare della fatica, della disperazione si fa strada, inesorabile verso una prospettiva cupa, insanabile e, al culmine, con la dissoluzione pura e semplice della disarmata Eli.
I passi, le sequenze di sensazioni, sentimenti progressivamente affioranti in Sole cuore amore, proprio su questa traccia tematica dolente, senza scampo, si incalzano con naturale cadenza realistica dando verità tangibile e acuto senso solidale ad una storia, prima che straziante, intimamente umana. Di qui la menzionata analogia tra il neorealismo ispirato di Ladri di biciclette e Umberto D., quasi un filo rosso che, da una parte, imprime intensità e forza espressiva all’intero racconto, dall’altra, rifugge da qualsiasi tentazione predicatoria o semplice patetismo. Qui la débâcle è vera, straziante, ineludibile.
Significativamente in molteplici occasioni Daniele Vicari – per la circostanza ben coadiuvato da Gherardo Gossi (fotografia), Benni Atria (montaggio), Stefano Di Battista (musica) – ha detto, ribadito con foga l’idea originaria della sua ulteriore fatica: “Questo film nasce proprio dall’intento di trovare nuovo spazio per la quotidianità, per far diventare racconto la vita di tutti noi, che oggi come oggi al cinema non è rappresentata adeguatamente… Oggi ci siamo innamorati del potere, lo subiamo e ormai parliamo solo di quello. Per evitare di cadere nella facile retorica abbiamo deciso di raccontare le persone e lasciare a casa i personaggi”. Parole che lasciano intravedere un preciso disegno creativo, certo in contrasto aperto con le tendenze attuali di un cinema vacuamente svagato, più pensoso degli incassi che di esiti davvero innovatori.