Angolazioni
VITE “IN FIERI”…ANIME IN PENA
Note su “Non è un paese per giovani”, un film di Giovanni Veronesi
°°°°
I volti e le voci che occupano, con i titoli d’apertura, le prime scene di Non è un paese per giovani, ultimo film di Giovanni Veronesi, sono quelli di giovani italiani che hanno scelto un futuro all’estero, alcuni con consapevole rabbia altri con sguardo nostalgico. Nonostante l’infelice e un po’ fuorviante titolo, preso in prestito dal programma condotto dallo stesso regista su Rai Radio2, questo è un film profondo, attualissimo, tenero e violento.
E’ vero, dentro troviamo le storie di due ventenni in cerca di un futuro migliore, ma Veronesi ci mostra anche la Cuba del postcastrismo, la deriva o la caparbia capacità di adattamento degli adulti (solo uomini, padri reali o per vocazione) e, soprattutto, la crisi giovanile che, prima ancora di essere lavorativa, è identitaria. Anzi sono proprio questi gli aspetti che offrono i lati di seduzione più forti e convincenti del film. Sandro (un Filippo Scicchitano con l’appropriato volto da bravo ragazzo) e Luciano (un Giovanni Anzaldo bello e dannato) sono giovani camerieri in un ristorante romano con una vita ancora in fieri.
Non hanno lauree né specializzazioni da spendere, come la dolce e motivata fidanzata di Sandro, non sono dunque cervelli in fuga ma più che altro anime in pena. Entrambi entrano in conflitto con un’attività che ovviamente non li gratifica, ma il loro conflitto è soprattutto interiore: non sanno ancora chi sono, i loro desideri, malgrado la smania di allontanamento, sono confusi. Si aggrappano a progetti che assomigliano a sogni infantili con la stessa fede dei bambini nell’onnipotenza del pensiero.
Con la complicità economica ed affettiva del genitore edicolante di Sandro – delizioso ruolo affidato all’efficacia interpretativa di Sergio Rubini che tratteggia un pugliese disilluso che conosce l’arte di arrangiarsi e che regala anche un’imperdibile tirata sulle truffe legate alla frutta biologica – i due ragazzi scelgono di far rotta su Cuba, meta atipica e ancora poco gettonata per eventuali sbocchi lavorativi. L’isola si sta aprendo a nuove possibilità imprenditoriali legate alla diffusione del wi-fi e il più ombroso e determinato dei due amici, Luciano, possiede un amico informatico che farà da tramite al loro progetto.
Chiunque abbia avuto l’opportunità di visitare Cuba qualche decennio addietro si accorgerà immediatamente della trasformazione sin dai grandi ombrelloni presenti nelle piazze che ospitano modernissimi bar (chissà se esistono ancora le case de la trova!); persino il sottobosco malavitoso sembra diverso, più cattivo e violento, più raffinato e vizioso; le ragazze e i ragazzi che offrivano gioiosamente la loro compagnia in cambio di qualche pranzo nei pochissimi ristoranti disponibili o di qualche notte in alberghi lussuosi (era una vera forma di prostituzione o solo la fame di un benessere negato?) ora sono lucciole da locali per tutte le esigenze. La grande isola ha guadagnato probabilmente in benessere e ha perso in poesia, ma quest’ultima, è ovvio, costituisce un valore solo per chi guarda comodamente da lontano e non per chi è costretto a convivere con i bisogni quotidiani.
Dunque, si diceva, non solo ricerca di lavoro. Sandro e Luciano incrociano le loro strade con quella di Nora, una strana ragazza uscita da un lungo coma con lievi danni cerebrali che l’hanno resa ingenua e priva dei filtri dettati dalle convenzioni e dalle ipocrisie sociali. Sara Serraiocco, ventisettenne attrice già pluripremiata, costruisce un personaggio incantevole e totalmente vero nell’abbandono alla forza dell’amore, dell’amicizia e della dedizione, nella difesa del valore dell’eroismo, un tempo ossessivamente presente nella Cuba del mito onnipresente di Che Guevara, e qui relegato nella struggente figura di un pescatore divenuto eroe per caso, ma non per questo meno convinto della necessaria e certa ricompensa statale al suo gesto.
Ricompensa che infatti arriverà, avviando lo snodo risolutivo della vicenda. Ma se Sandro, aspirante scrittore che finalmente comprende e asseconda la propria vocazione, riuscirà ad uscire dalle tenebre di una realtà stropicciata e assai poco idilliaca, Luciano si smarrirà nella scoperta di un bisogno di violenza a lui stesso ignoto, si perderà nei meandri delle lotte clandestine, proprio lui, che non aveva mai sferrato un pugno in vita sua, proprio lui (ed è questa la chiave interpretativa) che fino a quel momento era stato in permanente lotta con figure genitoriali perfette ed ingombranti. Un insospettato lato demoniaco, che neanche l’amicizia riesce a frenare, prenderà il sopravvento in questa figura inquietante e destabilizzante che spruzza lo schermo del proprio sangue come se fosse un necessario tributo offerto agli idoli feroci del denaro e delle illusioni perdute.
Nino Frassica apre un altro capitolo sull’epoca per nulla lontana degli evasori fiscali, i furbacchioni che portano fuori i capitali per ricominciare con esistenze nuove di zecca. Ma anche qui il discorso non è così semplice e scontato come potrebbe apparire: dietro il pizzaiolo messinese che si finge napoletano ci sono una fuga dal pizzo e un’amarezza lucida e rassegnata.
Veronesi dirige un film arioso e asfittico allo stesso tempo con riferimento a spazi fisici e mentali: le belle spiagge bianche e i lerci cortili interni, la liberazione di nuovi sentimenti e la constatazione dei danni subìti. Sa porgere il nucleo centrale ricavandovi una serie di sottotrame e di rimandi (la sceneggiatura è firmata dallo stesso regista e da Ilaria Macchia) che danno spessore e consistenza, e sa farlo con mano meno leggera del solito, tanto sarà poi il montaggio a non appesantire la narrazione. Lo sguardo acuto penetra nei personaggi e li snuda senza dialoghi ridondanti o superflui. Tutto questo è reso possibile da attori davvero sorprendenti che aderiscono con convinzione a personaggi oggi assolutamente necessari alla riflessione politica e sociale.
Molto belle le musiche originali dei Negramaro firmate da Giuliano Sangiorgi. Se prima non si spengono le note sul grande schermo, non viene proprio voglia di abbandonare la poltroncina e di uscire dalla sala.