Il mestiere del critico
UN SOGNO INFRANTO
“La la Land”, un film di Damien Chazelle- dall’ “estro precipitoso”
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Il “Morandini”, inteso come dizionario dei film, scrive a proposito del vecchio, non dimenticato, capolavoro di Stanley Donen e Gene Kelly Cantando sotto la pioggia (1952): “Una delle migliori commedie musicali nella storia di Hollywood, meno pretenziosa di Un americano a Parigi e meno spettacolare di Un giorno a New York, ma superiore a entrambi per vivacità, umorismo, armonia tra le parti. Grande classe a livello coreografico, molte invenzioni a quello registico, memorabili numeri comici di O’ Connor”. Senza contare la smagliante bellezza della bravissima Cyd Charisse e i passi di danza acrobatici dello stesso co-regista Gene Kelly.
Questa ampia citazione di un esemplare commento a Cantando sotto la pioggia è del tutto pertinente, anzi doverosa per venire a parlare d’un altro, recentissimo, impreveduto musical – e per questo suscitatore di smodati consensi e ben quattordici candidature ai prossimi Oscar – La la Land, dove l’apparente filastrocca è da leggere come un cifrato panegirico della rutilante, mutevole Los Angeles (notoriamente da sempre compromessa con il cinema e i suoi immediati dintorni).
Qui, il giovane, dotato cineasta Damien Chazelle (al suo terzo lungometraggio) mutuando modi e tempi dei più significativi musical del passato (Cappello a cilindro, Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi, Moulin rouge, ecc.) non ha tanto imitato le mosse di quei prestigiosi precedenti quanto operato una sorta di innesto sul corpo della più corriva commedia sentimentale. Poi, rimpolpando il tutto con musiche talora melodicamente accattivanti, talaltra inutilmente reboanti, ha congegnato uno spettacolo non sappiamo se definire più colmo di enfatiche licenze o di situazioni melodrammatiche al limite della superfetazione.
A presiedere l’intiera commedia Chazelle ha poi precettato due attori – la bamboleggiante Emma Stone (Mia) e Roy Cosling (Sebastian) – rispettivamente nei panni di una aspirante attrice perennemente frustrata e un pianista di jazz anch’esso incompreso reiteratamente pazzi d’amore l’una per l’altro e viceversa, poi, puntualmente separati dai contrattempi delle rispettive carriere e da inesorabili incomprensioni caratteriali.
La storia, come si può constatare, non è né troppo originale, né ancor meno imprevedibile ma, specie all’inizio, e di quando in quando negli scorci successivi, l’irruzione di danze un po’ sbrigliate e inserti canori-musicali, a mo’ di canzoncine didascaliche, risolvono, anche un po’ sbrigativamente, l’evolversi costantemente problematico della convivenza dei pur volenterosi Mia e Sebastian.
Ciò che peraltro desta spesso perplessità in questo film dall’estro anche precipitoso risulta in effetti l’eterogeneità delle componenti narrative, dal momento che, aldilà di qualche sporadica intensità espressiva, il tutto si risolve in una pur pregevole eleganza formale.
Di qui, va da sé, la constatazione che qualsiasi contiguità di La la Land con i classici musical prima menzionati è senza’altro indebita. Soprattutto per il fatto che, ad esempio, Cantando sotto la pioggia prospettando uno spunto incentrato sulla classica commedia degli equivoci riconduce poi il racconto entro limiti e canoni di una realistica evocazione di eventi di brillante causticità, mentre nel film di Chazelle tutto si sfrangia in una novelletta risaputa, senza smalto, un sogno banale, inconcludente.
Eppure, in questo osannato lungometraggio fitto di sogni e dell’aspirazione di praticare l’esistenza come un gioco a ostacoli contro la crudezza, l’ottusità della vita, lo spettacolo si mostra inadeguato inconsistente. Sintomatico, al riguardo, quel che Damien Chazelle tenta di spiegare su La la Land: “Con questo film volevo cercare di unire il musical – che viola le regole del reale – e la realtà…”. Be’, a dirla francamente, l’esito, nonostante il vistoso successo dello stesso film, ci sembra per gran parte un’occasione sprecata. Un sogno infranto.