Ancora una volta il caro, vecchio Natale / La lettera scarlatta di Lily Bart
@ Lucia Tempestini, 8 dicembre 2024
Già il titolo sottilmente sarcastico, che allude a un versetto dell’Ecclesiaste, esprime la volontà di notomizzare il futile minuetto di crudeltà, millanterie, pettegolezzi, rivalità, invidie, finte premure, divorzi, ricevimenti, eccentricità che increspa la superficie conformista dell’alta società newyorkese di inizio Novecento.
In The House of Mirth, Edith Wharton compone intorno alla giovane Lily Bart, appartenente a una famiglia altolocata finita in bancarotta, un bildungsroman che, anziché alla maturazione, conduce la protagonista a smarrirsi nelle trame della disapprovazione sociale, dopo aver commesso una serie di azioni inopportune e mancanze imperdonabili.
Travolta dalla rovinosa frana economica provocata da una madre vanesia e dedita allo sperpero e da un padre inetto e succube della moglie, Lily a 19 anni si ritrova da sola ed è costretta ad accettare l’ospitalità di una zia, tanto ricca quanto puritana e affetta da un insanabile eccesso di parsimonia. La misera rendita che le passa l’anziana parente non può essere sufficiente ad appagare la brama di lusso, bellezza, feste e viaggi in Europa di Lily, quindi non resta alla fanciulla che accettare i numerosi inviti dei suoi ricchissimi amici – veleggiando da una dimora all’altra – in cerca dell’occasione giusta: un marito munifico che paghi con gioia i suoi conti e la inebri dei riflessi neomanieristi di zaffiri e rubini. Che altro potrebbe fare una ragazza incapace di assaporare la solitudine se non in compagnia, di gusti raffinati e dispendiosi ma priva di una particolare istruzione, e inadatta a qualsiasi lavoro manuale?
Quando il romanzo inizia Lily ha ormai 29 anni, e da dieci conduce una caccia logorante e inutile a ogni buon partito che si profili all’orizzonte. L’aria fina della gioventù colma di polvere d’oro si sta offuscando, per via di un senso di fallimento, di solitudine interiore profonda. Continua a esibirsi in eleganti variazioni sul tema della seduzione, controllando dall’esterno ogni sguardo o parola come se si trovasse su un palcoscenico, ma assillata dal ticchettìo del tempo che la getta nel panico e le incide piccole rughe di angoscia, stanchezza, frustrazione agli angoli della bocca.
La ragazza avverte un disagio crescente verso l’ipocrisia che la circonda, e l’esasperazione le fa desiderare un’esistenza priva di finzione e sotterfugi. In questa direzione la incoraggia il giovane (e poco abbiente) avvocato Lawrence Selden, di cui Lily vorrebbe ricambiare le attenzioni; però la vanità ereditata dalla madre e il terrore della “vergognosa miseria” hanno il sopravvento, indirizzando le mire di Lily verso il biondo e inconsistente Percy Gryce, erede di una smisurata fortuna.
Wharton mostra con un feroce effetto grandangolo questo personaggio insulso, autoinnalzatosi su un piedistallo assai elevato e gratificante per il suo amor proprio di pedante borghese precocemente ammuffito nella spilorceria bigotta.
Il giovane avvolge Lily dentro la coltre di noia di interminabili, farraginose, inutili esibizioni di vischiosa verbosità. Una bava di lumaca, precipuamente maschile, che ricorda la prolissità di Mr. Ramsay in To the Lighthouse di Virginia Woolf. Secernere finta modestia e professarsi vittima di circostanze e tempi avversi – nonché immorali – sono strumenti di cui ogni uomo si serve per nascondere l’ego elefantiaco.
Lily, un’anima divisa in due, vorrebbe afferrare l’attimo, ma non è abbastanza avida né abbastanza tenace, e commette alcuni sbagli fatali – dettati dall’esasperazione e da un’eccessiva considerazione di sé – nel tessere la rete di blandizie che dovrebbe catturare Gryce. Sempre più tormentata, braccata dai creditori, insidiata dall’untuoso e grossolano faccendiere ebreo Rosedale, Lily cade nel vizio del gioco, arrivando a perdere a carte una somma per lei esorbitante.
Dovrà chiedere un grosso prestito al ricco affarista Gus Trenor per fare onore al debito, e dal quel momento la discesa nel buio del disonore, gradino dopo gradino, sarà inarrestabile. Fino alla fine, fino a una sciocca, desolante morte per errore, l’ultimo inciampo.
La casa della gioia
di Edith Wharton
trad. Gaja Cenciarelli
intr. Benedetta Bini
BEAT Edizioni
pp. 448
13,50 €