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Enzo NATTA L’arte del togliere (in “Miss Violence”, un filmdi A.Avranas)



Il mestiere del critico


L’ARTE DEL TOGLIERE

“Miss Violence” di A. Avranas, in arrivo da Venezia

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Inspiegabile gesto, senza ragione alcuna. Nel giorno del suo undicesimo compleanno, mentre i familiari sono tutti intorno alla torta per accendere le candeline, l’undicenne Angeliki si getta dal balcone. Quale il motivo di quel suicidio? Quale segreto inconfessabile la ragazza ha portato con sé? Polizia e servizi sociali cercano di scavare nelle pieghe dei comportamenti della famiglia (i nonni, la madre, tre fratelli tutti nell’età dell’adolescenza), che invece insiste nella versione di un tragico e fatale incidente. E’ proprio questa rassegnata accettazione di una disgrazia indefinibile e il desiderio di andare oltre quel capitolo doloroso che non convince gli inquirenti. Ma tutto, anche se ogni cosa appare come cristallizzata, quasi fosse sottovuoto, contribuisce a fugare ogni sospetto. La casa è in ordine, accogliente pur nella freddezza dell’ambiente, e nulla tradisce alcunché, se non un clima di cupa pesantezza che sembra schiacciare ogni membro della famiglia, primo fra tutti il fratellino di Angeliki, che anche in un quadro che lo raffigura porta con sé l’ombra di uno sguardo spento e di un atteggiamento catatonico, inquietante nella sua fissità,  che   sembra isolarlo ed escluderlo dal resto della famiglia. Come se fosse schiacciato da un incubo senza fine.

Il nonno (la madre dei bambini è stata abbandonata ormai da tempo dal marito) si comporta come un padre-padrone, distribuendo in egual misura pugno di ferro, abbondanti razioni di gelato, severe punizioni e gite al mare, ma nulla lascia trapelare che un orco si annidi fra le pareti domestiche.

Eppure, è proprio dietro tutta questa apparenza che si nasconde l’altra faccia della medaglia e già il titolo del film si presta a una doppia lettura. Miss Violence significa contemporaneamente “la signorina della violenza” e (dal verbo inglese “to miss”) “la violenza smarrita”, che non si trova e si mimetizza abilmente.

Leone d’argento per la miglior  regia alla Mostra di Venezia e Coppa Volpi per il miglior attore a Themis Panou che interpreta il personaggio del nonno, Miss Violence è scritto e diretto dal trentaseienne Aleksandros Avranas, alla seconda regia dopo Without.

Cellula della comunità, la famiglia è la micrografia dell’apparato sociale, di cui esprime e riflette tutte le componenti, comprese le relazioni quotidiane fra i suoi membri, che, intrecciandosi di continuo, ne tessono la solida tela. Da cui sono inevitabilmente avvolte anche tutte le deviazioni e le storture di quel potere che alla famiglia presiede e nella famiglia si radica, a qualsiasi livello o grado si manifesti. Non a caso Pasolini, e Aleksandros Avranas lo ricorda, diceva che “la famiglia è una perfetta organizzazione criminale”. Vittima, omertosa e complice  nello stesso tempo.

Per questo Miss Violence è innanzitutto un film metafora, un film politico (sullo sfondo non si può non cogliere la crisi economica che ha colpito la Grecia e che si fa a sua volta portatrice di crisi morale)  primancora che un film di indagine psicologica e sociale, una tragedia moderna, con tanto di catarsi e di purificazione finale, racchiusa nell’involucro di un racconto crudo e tagliente, reso ancor più raggelante e aspro dal finale, con quella porta chiusa che riapre un ciclo del tutto identico nel suo significato dinastico: la famiglia continua a essere un clan, un centro esclusivo dove occhi estranei e indiscreti non hanno accesso.

In questo fine elaborato drammaturgico, Aleksandros Avranas lavora  per sottrazione adoperando quell’ “arte del tollere” di cui parlava Bresson, punta all’essenziale ed elimina ogni sovrappiù, con una regia di algida eleganza, con dialoghi ridotti al minimo, con tutto il peso di ogni singola scena caricato sulle spalle degli attori e completato dall’insistenza con cui lo sguardo della macchina da presa si posa sugli oggetti e sui dettagli. E’ in questa  dimensione del tutto particolare che si può fiutare e cogliere un filo che improvisamente e inaspettatamente si spezza anticipando ciò che accadrà più avanti. Come le inavvertite e quasi impalpabili reazioni  del fratellino o l’indolente estraneità della nonna, sconcertante nella messa a fuoco che la coglie in un sottile gioco d’anticipo nella scena in cui la donna asciuga e riasciuga le posate strofinandole fino a farle luccicare.

In questo tipo di operazione Avranas scopre le carte lentamente come un consumato giocatore di poker (soltanto in un paio di circostanze lo stacco è immediato e tagliente, addirittura traumatico), lasciando che la verità venga a galla con tempi tardi e pigri. Per poi scomparire un’altra volta. Come un sasso lanciato in acque stagnanti che subito si richiudono per sprofondare in un’atmosfera di silenzio e oscurità.