Si conclude oggi a Spoleto, l’annuale rassegna “Primo Piano sull’Autore”, dedicata per questa volta a Pasquale Sqauitieri e Claudia Cardinale. Il contributo di Sauro Borelli è tratto dal volume edito per l’occasione dall’A.n.c.c.i.
CLAUDIA CARDINALE, ATTRICE “PLURIMA”
Volendo rendere omaggio a Claudia Cardinale e alla sua professione si può dire che è un’attrice “plurima”. Con oltre cinquanta film risulta, infatti, tra le attrici più prolifere di quelle operanti tra gli anni Sessanta e Ottanta.
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Proprio in ragione di ciò, pensando a una possibile raffigurazione simbolica della sua collocazione nel contesto del cinema italiano e cosmopolita la si potrebbe immaginare come un’elegante silhouette attorniata da una miriade di volti dei personaggi da lei interpretati, a cominciare dal più che celebre: I soliti ignoti (1959) di Mario Monicelli. Con olume l’espressione abituale di un mezzo sorriso, l’atteggiamento rilassato, lo sguardo intenso, Claudia Cardinale appare, dunque, giusto l’icona che è venuta costruendo in una lunga carriera di interprete dai mille ruoli e di altrettanti caratteri drammatici.
C’è poi da rilevare nella fisionomia esteriore e nell’attitudine psicologica di questa artista incline alle caratterizzazioni marcate – sia per impronta stilistica, sia per esteriore prestanza – una eclettica misura che le consente, in ogni circostanza, di apparire credibile, convincente, pur cimentandosi con protagonisti di variabile visibilità e spessore. In definitiva è una brava attrice, un’interprete sapiente, preziosa che di film in film sembra affinare progressivamente il proprio mestiere, la propria maestria.
La riprova di simili impressioni? È tutta evidente, tangibile, nei diversi tipi cui presta abilmente la propria duttilità interpretativa, calibrando di volta in volta sensibilità e verità drammaturgica. Tutto ciò orchestrando con avvedutezza la dedizione giusta per ogni singola occasione. C’è, ad esempio, una figura sintomatica incarnata, appunto, da Claudia Cardinale nel film di Luigi Magni Nell’anno del Signore (1969) ove impersona con vigore e sottigliezza superlativa la ragazza libertaria e preveggente della “giudìa” Giuditta, dolorosamente incastrata dal razzismo congenito dei preti e dal torpore opprimente dei popolani romani. Si ritrova in questa ben caratterizzata immagine una passione civile, benché inconsapevole, che dà un senso anche più profondo, incisivo all’intero assunto del film di Magni.
Ma sono tanti altri gli esempi, le interpretazioni che Claudia Cardinale con la sua tipica espressività tra il rigore introspettivo e la naturale semplicità, propone con una immediatezza di toni, indizi presto consolidati nell’interpretazione a tutto tondo. A suffragare ancor più questo metodo personale della Cardinale nell’affrontate anche i più ostici personaggi vanno certo menzionati i tre film che l’attrice recitò per Luchino Visconti negli anni Sessanta, tre film, oltretutto, di impianto narrativo e d’intento morale sostanzialmente diversi quali, appunto, Rocco e i suoi fratelli (1960), Il Gattopardo (1963), Vaghe stelle dell’Orsa (1965).
L’acme di quel trittico si ritrova scopertamente nella versione cinematografica del libro di Tomasi di Lampedusa ove l’attrice profonde, in perfetta sintonia con un cast magistrale come quello incarnato da Lancaster e Delon (più una folla di comprimari di talento), risorse davvero ammirevoli, dando scultorea consistenza alla figura di smagliante bellezza di Angelica Sedara, la sposa popolana dell’avventuroso Tancredi. Anche se tanto in Rocco e i suoi fratelli quanto nel dannunziano Vaghe stelle dell’Orsa, con la sua voce nebbiosa e un approccio più che realistico ai personaggi tirati in campo in questi stessi film, Claudia Cardinale ribadisce quel suo intenso vigore nel prospettare con acuta sensibilità i rovelli, l’interiorità sofferta dei suoi personaggi.
Il computo delle opere dei prestigiosi registi coi quali Claudia Cardinale si è misurata risulta, in effetti, molto più ampio dei film finora citati e tra quelli restanti ancora da menzionare per l’eccellenza delle prove realizzate dall’attrice vanno sicuramente messi in rilievo titoli epocali come La ragazza di Bube (1963) di Luigi Comencini proprio per il campeggiante ruolo di Mara, C’era una volta il West (1968) di Sergio Leone per un’analoga figura di donna volitiva trasformata in stoica pioniera, Fitzcarraldo (1981) di Werner Herzog ove al fianco del maniacale Kinski dà volto e senso doviziosi ad una maîtresse indomita, generosa.
A completare il quadro di una vicenda professionale di grande risalto esistono, certo, tanti altri lungometraggi pregevoli ma crediamo che quelli finora citati costituiscano una scelta abbastanza probante di quanto siamo andati dicendo: Claudia Cardinale non è solo una brava attrice, è anche una grande donna. Ne abbiamo avuto conferma, anni fa, a Berlino, ove tra la romantica Fasanenstrasse, il ristorante “Bacco” e la cosmopolita Ku-Damm, abbiamo apprezzato la sua cordiale conoscenza. Un’autentica versatile signora. Anzi come dicevamo, un’attrice “plurima”, tanto da far scrivere a Florence Colombani su Le Monde (8 luglio 2005): ecco “Angelica prestante la sua calma invincibile di donna conscia della sua bellezza”. Che dire di più?