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Sauro BORELLI- I quattro di LIverpool (“The Beattles…”, un film di Ron Howard)

 

Il mestiere del critico


 

 

I QUATTRO DI LIVERPOOL

Eight Days a Week, il film di Ron Howard sui Beatles, in sala da settembre!

“The Beatles – Eight Days a week”, un film di Ron Howard

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Ricordate il ragazzo dai capelli rossi, l’amico più assiduo di Fonzie, l’eroe-feticcio della serie Happy days degli anni Sessanta? Bene, se avete oltre cinquant’anni. Se no potete rifarvi constatando che quello stesso ragazzo è oggi un navigato cineasta hollywoodiano, già celebre per alcuni filmoni di buon successo: si chiama Ron Howard, capelli non ne ha più, né rossi né d’altro colore. In compenso oltre a realizzare una pellicola dopo l’altra, coltiva con affetto le sue passioni giovanili con diligente maestria. È di questi giorni l’approdo sui nostri schermi del documentario The Beatles – Eight Days a week, omaggio devoto e circostanziato alla stagione dei quattro mitici “Favolosi Quattro” di Liverpool.

È ampiamente noto quanto e come l’esordio nel ’63 del quartetto di giovanissimi musicisti cantanti sbalordì, dapprima, con successo strepitoso e, poi, con una subitanea leggenda internazionale dando vita, al contempo, ad una sorta di travolgente contaminazione mediatica in forza della quale ogni gesto, qualsiasi frase di John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr, George Harrison costituivano un implicito messaggio di anticonformismo, di innovatrice attitudine comportamentale.

Tutto ciò è dettagliatamente evocato, appunto, nel documentario The Beatles, anche perché l’intento di Ron Howard, rigorosamente applicato, risulta appunto la proposizione della copiosissima quantità dei più vari materiali assemblati per conto della Apple Corps fin dal 2002: filmati, foto, registrazioni audio debitamente restaurati, rimasterizzati con cura preziosa.

Al proposito, Ron Howard si prodiga nell’esaltare la non spenta celebrità dei Beatles profondendosi in superlative attestazioni del loro valore artistico e, ancor più, della loro esemplare moralità: “Erano puri. Il loro è un percorso artistico fatto di creatività e integrità. Questo mio film, dunque, vuole essere un viaggio nel talento e nell’intelligenza di quattro ragazzi che avevano il dono di saper raccontare…”. E non è un caso che tra le prime, adolescenti fans dei Beatles siano menzionate qui le attrici Sigouraey Weaver e Whoopi Goldberg, ancor oggi non dimentiche della loro (quasi) fanatica ammirazione.

Tra l’altro, oltre all’assemblaggio esauriente, circostanziato dei concerti, le tournée si affollano in The Beatles gli episodi, l’opzione dei “ragazzi di Liverpool” per le cause progressiste quale, ad esempio, la lotta antirazzista degli afroamericani, il pacifismo e contro lo sciovinismo classista, fino al punto di negarsi a qualsiasi compromesso su situazioni conservatrici, reazionarie. John Lennon, nel più dei casi autorevole portavoce del gruppo (peraltro costantemente d’accordo sulle questioni più importanti), ebbe a dire: “Tutti volevano qualcosa da noi… Non erano richieste banali, volevano la nostra energia, la nostra attenzione. Volevano noi”.

Giustamente, c’è a proposito del film The Beatles una valutazione generale di merito dai toni tutti elogiativi. C’è chi scrive infatti: il film “ci ricorda e descrive le incredibili, vertiginose proporzioni del fenomeno (appunto il successo eclatante), spiega perché la meteora (non più di un decennio) non sparì nello spazio di una stagione e la spiegazione e allo stesso tempo semplice e struggente. I Beatles ce l’hanno fatto perché erano brave persone…”. Un simile giudizio parrà persino ovvio, ma le cose non stanno davvero così.

E lo stesso Lennon, in un’intervista del 1975, così chiarisce: “La sensazione è che ci fosse una nave alla scoperta del Nuovo Mondo e che sull’albero ci fossero i Beatles e dicevano: terra!”. Proprio come nel loro, fantastico, memorabile Yellow Submarine.