Il recensore assoluto
Tra le letture di Alfredo Giuliani
@Antonio Castronuovo, 29 gennaio 2024
Critica e poesia sono in Alfredo Giuliani inscindibili, e tuttavia la sua vicenda è rivelatrice del fatto che la prosa può averla vinta sulla poesia. Era del 1924 e il suo esordio fu da poeta, con la raccolta Il cuore zoppo uscita nel 1955 a Varese dall’Editrice Magenta (una tipografia artigiana, il che spiega la massima rarità del pezzo). E da poeta – oltre che da critico militante che s’interessa ai problemi della poesia contemporanea – affrontò nel 1963 la redazione dell’antologia I Novissimi, nelle cui pagine accolse i propri versi e quelli di Pagliarani, Sanguineti, Balestrini e Porta. Fu questa la sua preistoria intellettuale: la sua poesia e quel che disse della poesia (a partire dall’introduzione ai Novissimi, manifesto teorico della neoavanguardia) restano a segnare – con l’abbandono di ogni impronta lirica ed estetizzante – la seconda metà del Novecento.
Eppure, dopo la scomparsa nel 2007, la figura che più ci seduce è il redattore di elzeviri nitidi, colti e sereni (cosa che disorienta in un neoavanguardista negatore dei “significati imposti”), è il Giuliani cui torniamo oggi col piacere della lettura, l’autore di articoli in forma di brevi saggi nati dalla collaborazione con riviste e giornali, che fossero «Il Verri», «Quindici» o «La Repubblica». Pezzi accortamente raccolti in volumi che sono anche fonti di piacere bibliofilo: se infatti malamente rintracciabili nel piccolo antiquariato sono Le droghe di Marsiglia (Adelphi 1977: a quando la ristampa?) e Autunno del Novecento (Feltrinelli 1984), praticamente irreperibile è Letture improvvise, volume uscito nel 1979 dalla romana Cooperativa Scrittori e Lettori: trattandosi di esperimento editoriale indipendente fondato da scrittori (Pedullà, Guglielmi, Malerba, Pagliarani, lo stesso Giuliani) per contrastare il dominio dei grandi marchi editoriali, il fenomeno si spiega.
Ora, con l’uscita delle Droghe di Marsiglia Adelphi realizzava un’operazione di letteratura assoluta: cos’era quell’ampia raccolta di brevi prose, pubblicata senza alcun supporto di note e postfazioni, se non una forma di critica che «parlando di letteratura, parla continuamente d’altro; e, parlando di tutto, vi fa pulsare la letteratura»? Così recitava il risvolto di copertina, e l’allusione era perspicua. Con Le droghe di Marsiglia si spalancava (con le Immagini e maniere del 1965, la cui pur critica materia alludeva largamente alla poesia, era stata solo socchiusa) la porta del Giuliani prosatore critico, con una collezione di articoli dedicata all’Otto-Novecento letterario di cui nemmeno erano segnalate le date di uscita nei giornali: tutto cospirava a far risaltare che quei pezzi erano letteratura e basta, senza necessità di conoscerne le circostanze genetiche. La decisione editoriale di Adelphi sembrava tracciare un percorso da rispettare: consegnare ai lettori un Giuliani “nudo e crudo”, strategia raccolta nel 1984 da Feltrinelli con la nuova collezione di articoli Autunno del Novecento.
Sono notizie sufficienti a spiegare cosa accadde poi. Dalla fine degli anni Ottanta, sulla scia di quanto già fatto, Giuliani cominciò a strutturare una raccolta di ulteriori recensioni e profili letterari che di volta in volta uscivano ne «La Repubblica» e si prestavano a diventare collezione di prose critiche. Ne raccolse fino al 1998 ma non giunse al risultato editoriale, che ora sprigiona postumo, a cura di Andrea Cristiani, con La biblioteca di Trimalcione, florilegio di ancor più stupefacente ampiezza degli interessi di Giuliani, un labirinto le cui sinuosità spaziano da Gilgamesh a Calvino, da Lucrezio a Jarry, dai classici greco-latini al Novecento letterario.
Della prosa che dà titolo alla raccolta, dedicata al Satyricon di Petronio Arbitrio, i vari commentatori hanno già notato il fulcro, quello svarione che il protagonista compie additando il possesso di tre biblioteche, una greca, una latina e la terza conteggiata nel rozzo flusso logorroico e autocompiaciuto solo per far colpo. Ma se ci si sofferma ancora sulle parole di Giuliani, si rileva che gli omettucoli, i poveri diavoli buffoneschi che il Satyricon mette in scena, «sono poi gli uomini che conosciamo e che sappiamo di essere». Giuliani non si tira fuori dall’elenco, perché sa bene che le «nostre incessanti letture e le biblioteche personali che mettiamo insieme» sono proprio abbuffate trimalcioniche, «vuoti farciti di studiate leccornie»; definizione quest’ultima che – oltre a denotare le troppe letture e ridondanti biblioteche di cui ci attorniamo – sembra anche una definizione dello stesso lavoro di Giuliani: quella letteratura come artificio di cui Manganelli aveva già dato nel 1967 mordace definizione.
Il titolo della raccolta allude insomma al grasso banchetto dei libri, al simposio tanto più gustoso quanto più smisurato; ma i capitoli della nuova collezione provano quanto il banchetto non abbia mai fatto male al lettore Giuliani e sia stato invece di fecondo giovamento. Lo prova l’acume delle definizioni sintetiche che, dissimulate nei testi, li rendono di sempre inebriante lettura. Tra i tanti esempi possibili, ho sotto gli occhi la sequela di felici osservazioni dell’articolo Ugo Foscolo e noi, e sia sufficiente lo sfolgorante incipit: «Con tutti i suoi progetti grandiosi e irrealizzati, e furibondi quanto casuali amori, e le bugie e le franchezze e le illusioni, e i sarcasmi per lo più tetri, Ugo Foscolo è rimasto fino alla fine un adolescente eroico». Tra intrecci e analogie, con un tenore di prosa che ad alcuni risuona addirittura snobistico, Giuliani riesce a sbrigliarsi dalle barriere dello specialismo e affiora da queste pagine come un superbo critico-scrittore che sembra essere stato soltanto “appoggiato” all’accademia.
Ora, poiché giudico di rilievo l’aspetto materiale dei libri, ho posto fianco a fianco le due edizioni Adelphi Droghe di Marsiglia e Biblioteca di Trimalcione: il transito tra due diverse serie della collana “Saggi” ha comportato una impaginazione più moderna che sottrae bianco ai margini e li compensa con una maggiore dimensione del carattere di stampa. È un favore concesso al lettore miope (come me) e contiene anche un invito alla lettura; l’editore sembra dire: abbiamo rinunciato a un certo equilibrio delle proporzioni ma doniamo al lettore l’eccellente godimento della pagina ben fatta e del guizzante avvicendarsi di prose brevi. La mia memoria s’interroga: dove ho già provato questo piacere formale? È accaduto varie volte che Adelphi abbia deciso di raccogliere articoli a formare un prodotto di letteratura assoluta, ma ecco, mi sovviene: vissi il medesimo piacere con Gogol’ a Roma di Tommaso Landolfi.
Una gemente nota finale: sono tra quei lettori che si chiedono cosa sia accaduto all’ottima scrittura che fino agli anni Novanta del secolo scorso s’affacciava dai giornali. Una caduta della premura che si dovrebbe alla cura della pagina? Sospendo il giudizio: ho il Trimalcione di Giuliani per mano e, con deplorevole adulazione del passato, mi adagio nella grandezza che emanava un tempo dalla forma – oggi umiliata – dell’articolo.
Alfredo Giuliani, La biblioteca di Trimalcione (Adelphi 2023).