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Sauro BORELLI- Sorrentino ritrovato (“La grande bellezza” in versione integrale)


Il mestiere del critico

 


SORRENTINO RITROVATO

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“La grande bellezza” in versione integrale

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Alla prima sortita di La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino abbiamo scritto che “suo privilegiato intento risulta… una incursione dettagliata quanto curiosa nel colmo di un crogiuolo di dati, vicende legati a singoli individui, di volta in volta collusi od estranei tra di loro destinati a tracciare con gesti contingenti l’espressione di sentimenti altalenanti, una dinamica conviviale abnorme, contraddittoria”. E, in tale solco, era facile avvertire che qualsiasi residuo di facili suggestioni “felliniane” (dalla Dolce vita a Roma) poteva trasparire ad ogni momento della traccia narrativa escogitata appunto da Sorrentino.

Ben altrimenti, invece, sin dalle battute iniziali La grande bellezza, pur tradendo di quando in quando avvertibili rimandi e riconoscibili analogie con certe tipiche atmosfere felliniane, si caratterizza rispetto a queste stesse componenti in modo del tutto autonomo. Anche perché, ben consapevole di simili insidiosi rischi, il cineasta napoletano ha proporzionato in termini originali la sua storia e, ancor più, i personaggi che in essa si muovono, parlano, agiscono rapportandosi ad un legame con Roma insieme accidentale e tutto eterodosso.

Significativo, perciò, emerge il proposito prontamente attuato da Sorrentino – nel frattempo misuratosi nel prestigioso impegno con il recente lungometraggio YouthLa giovinezza (con la complice superlativa performance del duo Michael Cain- Harvey Keitel) – di porre mano ad una versione integrale, appunto de La grande bellezza, ove certi scorci appena accennati nella prima stesura come altri momenti particolari del tutto espunti in un primo tempo fossero ripristinati, reinseriti nel corpo dell’opera che dagli iniziali 142 minuti cresceva fino a quasi tre ore piene.

Con quale scopo? Ci si chiederà. Il più semplice e immediato. Si sa, La grande bellezza si inoltra, informalmente, in un terrain vague ove Jep Gambardella (un inarrivabile Toni Servillo) a suo tempo scrittore di talento e oggi giornalista di scarsa passione, incrocia via via le parabole desolanti di faccendieri animati soltanto dal cinismo, di ex belle donne murate nel rimpianto e nel rimorso, di vitaioli decrepiti intenti in giochi penosi, insomma tutta la piccola umanità residua attorno a usurati modelli comportamentali del più squallido edonismo metropolitano. Jep, benché lucidamente conscio del gorgo di volgarità, di dolore riflette e spiega come rifacendosi alla superstite consapevolezza e alla viva esperienza, quella Roma che pure, nell’intimo, aborre e condanna possa palesare una cultura, un’indole della Roma segreta, ineludibile del passato e di una congenita bellezza.

Giusto nell’intrico di questi incroci e stratificazioni di personaggi, di vicende sempre ai limiti del parossismo dionisiaco o semplicemente, esasperatamente, vitalistico Sorrentino ha voluto, con massima circospezione, inserire spunti narrativi e raccordi per sè soli indicativi della congerie realistica attorno a cui si muove proprio Jep Gambardella, sorta di Virgilio in panni smessi che tutto governa e guida verso una esplorazione più che disincantata, crudamente sarcastica (con qualche riflesso tra l’ironico e il patetico) di una Roma sovraesposta, allucinata ove persone, apologhi si mischiano, si confondono in un tetro caleidoscopio.

È in tale contesto che nell’attuale “versione integrale” sopraggiungono in modo felicemente pertinente l’ampliato incontro notturno di Jep con la radiosa Fanny Ardant, l’eroina mirabile di tanti capolavori François Truffaut; l’inedita intervista a un attempato regista (Giulio Brogi) che afferma apoditticamente che il cinema è “un modo di sopravvivere di fronte alle delusioni di ogni giorno”; aneddoti, digressioni svagate (una mongolfiera, il trambusto provocato da una puzzola, l’incongruo inserto di un semaforo ecc.): tutti dettagli, diversioni, conversioni di un reticolo di eventi minimi capitali d’ogni giorno.

A suggello di tale e tanta commistione di vecchi e nuovi elementi narrativi, La grande bellezza viene ad essere non un altro film, ma un film più completo, esauriente nei suoi aspetti costitutivi di una apologia di Roma così com’è. O come pensa che sia Paolo Sorrentino: “Al silenzio un po’ sospeso della versione corta ho aggiunto un dialogo che è un omaggio a La signora della porta accanto. E naturalmente a Truffaut”. Intanto, terminato il lavoro televisivo The Young Pope (protagonista Jude Law nel ruolo del supposto papa Pio XIII), Paolo Sorrentino, pago delle sue fatiche, sembra voglia andare meritatamente in vacanza. C’è da credergli?