Etologia da batticuore
@ Antonio Castronuovo, 19 luglio 2023
Da tempo mi accade questo: dopo aver letto la prefazione o postfazione di un libro l’interesse poi si affloscia e non leggo più il testo vero e proprio. Sono insomma diventato lettore di paratesti e trascuratore di testi, ma destino ha voluto che l’eccezione confermante la regola sia stata proprio il volumetto dedicato da Lentini ai lupopesci, forse perché da anni si attendeva qualcuno che ne trattasse. Ma non solo: è che qui c’è un Prologo che infine prologo non è, perché vi risuona un appello: «Tu che senti il batticuore, facci esistere, anche solo per qualche minuto». È insomma una richiesta di aiuto, di consenso, di partecipazione: come non esserne turbati e commossi? Come tralasciare, di questo policromo saggio naturalistico, i 117 pezzi che seguono?
Per maggiore precisione: è un manualetto di etologia, al cui fondo sta un quesito cardine: «Come si comportano e che fanno i lupopesci?». Sia detto: in generale fanno cose buone. Se cercano la luna fiutano ad esempio che bisogna dirigersi non verso l’alto ma invertire la direzione verso il centro della terra, dove riluce il nucleo lattiginoso dell’astro malinconico. Oppure scavano con le unghie fossati della misura omologata di trenta metri, secondo quanto riferisce la cronaca Sotto la vasca; oppure piantano in giardino duemila stuzzicadenti in attesa di germoglio, come riportato in Giardinaggio (e qui salta all’occhio la diretta filiazione dalla vicenda di Pinocchio che semina zecchini nel Campo dei Miracoli).
Sono tutti comportamenti di apparente trama surreale, che invero gli uomini compiono ogni giorno, e si spiega pertanto la perentorietà del titolo: che i lupopesci siamo noi. Se così è, vale ascoltare la teoria generale espressa nel pezzo In cammino: è a pagina 123 e conclude un lavoro che subdolamente sembra finire a pagina 157. Ecco la teoria: il cammino della vita – e della letteratura – si compie perdendo pezzi: cadono pezzi di dita, di lingua, peli, chiodi e muschio. E poi si perde luce, e a quel punto si capisce che è finito il nostro turno, ed è meglio andar via. I pezzi del libro sono pezzi caduti dalla tasca dell’intelletto, e a un certo punto, sebbene il tascapane possa essere capiente, si sente che i pezzi stanno finendo, soprattutto se a rotolar via è un moncone di matita. Conviene pertanto andarsene, percorrendo mestamente le 34 pagine che corrono tra la 123 e la 157.
Un cenno infine alla forma del volumetto, carattere primario che in genere – colpevolmente – ignoriamo, per scoprire che non è un tascabile consueto: ha misure strane. Essendo tra coloro che diligentemente (e sapientemente, visto dove va a parare il mondo) custodiscono righello, gomma e temperino, ho estratto e misurato: centimetri 12×16. Tutto si fa perspicuo: 12+16 fa 28, la metà di 28 è 14 e quella di 14 è 7, numero che assomma il 2 della femmina, il 2 del maschio e il 3 di ogni altro genere e simbolizza, nelle aree di lingua Bambara, la luce della perfezione. Come non averlo capito fin dalle prime righe?
Alfonso Lentini, noi siamo i lupopesci, Perugia, pièdimosca, 2023