Il comodo torpore della menzogna. “Perfetti sconosciuti” alla Pergola di Firenze
@ Mattia Aloi, 10 aprile 2023
Paolo Genovese porta l’adattamento del suo film omonimo in teatro, in una trasposizione ben riuscita ma che non riesce a togliersi di dosso una patina cinematografica accentuata dall’uso dei microfoni ad archetto da parte degli attori.
Sia ben chiaro che lo spettacolo funziona ed è brillante, come sottolineato dalle roboanti risate in sala; risate che scaturiscono dal disvelamento dell’altrui ipocrisia e forse anche dal sollievo di sapere le proprie ben sepolte all’interno dei dispositivi cellulari.
In “Perfetti sconosciuti” emerge come l’ipocrisia sia una novella virtù, una tendenza al bipensiero orwelliano che solleva l’abitante del “primo mondo” dall’affrontare le costanti contraddizioni fra pulsioni e società, ego e collettività, etica e sopravvivenza.
Il cellulare, strumento nuovo e già onnipresente e irrinunciabile è il fulcro della nostra tela di conoscenze, amicizie, contatti; feticcio fondamentale dello stare in società: perderlo è l’esilio, scrutarvi dentro è una intrusione nella personalità stessa del proprietario.
Nel richiamo di Chtulhu, scritto quasi un secolo fa, H.P. Lovecraft scriveva:
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell’infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo.
Il dilemma è quindi ancora fra consapevolezza e illusione, se rimanere nella rassicurante ignoranza oppure “seguir virtute et canoscenza” come Ulisse nella Divina Commedia e affrontare l’oscuro mare dell’ignoto.
I cellulari hanno avuto un impatto immane sulla società che ancora non si può comprendere a pieno: possiamo rimanere sempre in contatto con le persone ma questo causa un irrigidimento delle cerchie amicali e un allontanamento delle persone fra loro, alcuni studi sui più giovani dimostrano come la capacità di empatia verso gli altri sia diminuita nelle nuove generazioni perché meno in grado di riconoscere la mimica e la semiotica reciproca.
Nella messa in scena di Genovese questo sottotesto si contorce coperto dal velo patinato di un’architettura scenica televisiva, con un allestimento che trascrive perfettamente un’abitazione borghese e un gruppo di amici drammaticamente comuni se non fosse per i segreti che li caratterizzano rendendoli personaggi a tre dimensioni. Il recitato è di ottimo livello, anche se l’afflato della Solarino lascia trasparire una certa nostalgia per il piccolo schermo.
L’epilogo della vicenda invita ad abbandonarsi al torpore delle menzogne per preservare la patina del benessere a ogni costo, scivolando nel ristoratore sonno della ragione.
Lo spettacolo però tiene ben svegli, sia con le profuse risate generate dalle battute salaci sia portando la mente dello spettatore a sipario chiuso a chiedersi se non sia il caso di infrangere la superfice e creare dei rapporti che vadano in profondità.
PERFETTI SCONOSCIUTI
Paolo Genovese