Lo spettatore accorto
LA VITA CHE CI DIEDE, PIRANDELLO
Foto di Dino Stornello
Tratto dalla novella di Pirandello, parafrasandone il titolo, con un cast tutto siciliano, sia nella parte drammaturgica che in quella musicale, è andato in scena a Catania al Piccolo Teatro della Città “ La vita che mi diedi”, per la regia di Turi Giordano.
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“ E’ mia vecchia abitudine dare udienza ogni Domenica mattina ai personaggi delle mie future novelle…” Questo l’inizio del testo della novella “ La tragedia d’un personaggio”, che farà da contenitore all’insolito spettacolo, fedele nelle sue linee generali, stampata sull’enorme libro incombente al centro della scena, tra le suppellettili di una camera-studio dove Pirandello ( un Francesco Foti misurato e autorevole) similmente si aprirà al paziente, produttivo ascolto dei suoi personaggi, svelandoci e facendoci assistere, come dal buco della serratura, alla genesi dei suoi scritti.
Annunciati dagli svirgolamenti di un sax e di un clarinetto, questi fantasmi occulti, introdotti da Fantasia, nelle vesti di una camerierina saccente e vispa (la briosa Marta Limoli) invaderanno la scena, impazienti di raccontare il loro dramma, la loro storia. Un’umanità dolente chiede ascolto e vita.
“ …se in questo momento mi pensa, io sono viva per lui” dirà Anna Luna, sconsolata per la lontananza del figlio in “ La vita che ti diedi”. Questa è la magia della letteratura, dirà più volte il celebre scrittore nei suoi scritti. I personaggi avranno vita dal pensiero e dalla penna dell’autore.
Così essi vivranno finché saranno letti, pensati, più che vere persone. I personaggi vivono e la scrittura vive della loro vita. E’ la vita che mi diedi. Lo dice il personaggio e lo dice Pirandello
Questa straordinaria filiazione ritorna nel finale dove la guerra incombente sembra arrestare il processo creativo dello scrittore, di fronte al massacro che tra poco distruggerà la vita di tanti uomini, forse anche quella del figlio, partito per la guerra nefasta . Sulla disperazione di questo tremendo presentimento scende come Angelo pacificatore, Deus ex machina, la figura biancovestita della madre morta, sbalzata viva dal pensiero di lui, che però non si sente più vivo perché lei non lo pensa più. Possono i nostri morti amarci? L’identità è offesa dalla morte, persino quella della madre, l’amore sublime che tutto salva e a cui tutto si riconduce?
Certo il pensiero tenero che lui di lei conserva la salva, finché lui vivrà, ma l’amore di lei per lui? Su questo interrogativo nostalgico e sull’offerta dell’uomo solo e sconsolato alla scrittura ( il grande libro- grande madre) si chiude la pièce, affascinante e inquietante, come del resto la produzione pirandelliana, illuminata qui dalla notevole rappresentazione dei personaggi da parte di un cast di tutto rispetto tra cui segnaliamo, oltre ai già citati Foti e Limoli, Emanuela Muni, forte interprete di figure complesse, come la madre de “ L’altro figlio”, Anna Maria Marchese, che ha arricchito la sua performance di Mommina con il bel canto e l’ intenso Davide Sbrogiò.
Originale e complesso, lo spettacolo si avvale di una regia e di una messa in scena che, pur sui binari di una conosciuta pirandellitudine, trova una tensione narrativa e un assetto drammaturgico denso e coinvolgente, al di là del dèjà vu.
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“ La vita che mi diedi”
da Luigi Pirandello
Produzione A.P.S. Muse
Regia di Turi Giordano
Scene e costumi di Riccardo Cappello – Ligth design di Nino Trovato
Musiche di Alberto Alibrandi
Con: Francesco Foti- Emanuela Muni- Davide Sbrogiò-Marta Limoli- Anna Maria Marchese
Al sax: Samir Guarrera – Al clarinetto: Salvatore Assenza.
Già al Piccolo Teatro della Città- Catania