Addio a Lina Wertmüller, la regista che ha raccontato il lato selvaggio dell’animo umano
@Francesco Bianchessi, 10-12-2021
In pochi hanno saputo raccontare l’essere umano come Lina Wertmüller, venuta a mancare il 9 dicembre 2021 a Roma. I suoi personaggi sono creature divine, complesse e primordiali, esseri che incarnano un’epoca con i suoi ideali e allo stesso tempo rappresentano valori eterni.
Wertmüller è un’icona del nostro cinema, formatasi come aiuto regista sui set di Federico Fellini esordisce nel 1963 con il suo primo lungometraggio I basilischi.
Dotata di uno sguardo acuto e di una predilezione per il grottesco la regista porta avanti una sfolgorante carriera artistica, che la porterà nel 1972 a riceve quattro nomination agli Oscar per il film Pasqualino Settebellezze. Tra i riconoscimenti più importanti va citato il Premio Oscar onorario alla carriera attribuitole nel 2020.
Quelli in cui opera e si forma sono gli anni della grande commedia all’italiana, un genere che la Wertmüller riesce a fare proprio, con grande attenzione al contesto sociale in evoluzione. I suoi film lanciano la coppia Mariangela Melato e Giancarlo Giannini che in Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto (1974) si innalzano al ruolo di sex simbol mondiali.
Al centro dei film della Wertmüller troviamo spesso due corpi: un uomo e una donna travolti da una passione selvaggia, irrazionale e vitale. L’amore è strettamente fisico: privato di ogni sfumatura elegiaca e analizzato antropologicamente nei suoi aspetti selvaggi e istintuali. Gennarino e Raffaella appartengono a due mondi inconciliabili, tutto cambia quando, costretti ad una convivenza forzata su un’isola deserta, si abbandonano a una relazione primordiale che trascende il topos della maschera sociale per immergersi in qualcosa di più arcaico e radicato nella natura umana.
Lo stesso si può dire in Mimì metallurgico ferito nell’onore: Mimì e Fiore si incontrano nella nebbiosa Torino, lui padre di famiglia in fuga dal profondo sud e lei donna indipendente dal marcato accento piemontese, l’elemento che li attrae va ricercato in qualcosa di ancestrale, nella dolcezza dello sguardo di Mimì in lacrime che fa breccia nel cuore della donna. Lo stesso vale per Pasqualino Settebellezze che rinchiuso in un campo di concentramento intravvede la salvezza attraverso la conquista sessuale della terrificante kapò.
Quello che più ci mancherà di Lina Wertmüller è forse proprio questo: la capacità di ricordarci che in fondo, oltre tutte le maschere che indossiamo per nostra o per altrui scelta, c’è una natura selvaggia e un po’ grottesca in tutti noi con la quale è bello, ogni tanto, dover fare i conti.