Veneno: il mito e le ombre di una delle prime icone LGBT+ spagnole
@Marco D’Alessio, 29-10-2021
Chi si cela dietro la figura di Cristina Ortiz Rodríguez, meglio nota come la Veneno, che divenne la prima transgender nota al pubblico spagnolo? Lei, che giunse alla ribalta a seguito di un servizio sul travestitismo e la prostituzione, divenne una figura televisiva che con le sue apparizioni televisive sensibilizzò e, per certi versi, educò il pubblico spagnolo alla diversità e al mondo transgender negli anni ’90. Nelle pieghe di una figura che ha incantato tutti con la sua audacia, la sua ironia e il suo fascino si nasconde un vissuto fatto di soprusi, sopraffazione, ma anche desiderio di autodeterminazione nell’affermare la propria esistenza. Infatti, Cristina, nata José, fin dai primi anni della sua vita ha vissuto sulla pelle lo stigma e l’incomprensione altrui a partire dai familiari che, negli anni ’60, non vedevano di buon occhio l’abitudine di indossare abiti femminili e che di rifugiarsi in mezzo alla natura, lontano da tutti, per prendersi cura degli animali. L’unico amico nella piccola e chiusa Adra era Manolito, anche lui vittima di bullismo da parte dei compaesani per la sua omosessualità.
L’unico sistema per sfuggire dai soprusi e le violenze in famiglia e da parte degli estranei e poter volare con le proprie ali – simboleggiate dalle volute di tulle dell’abito tanto desiderato, e indossato proprio nella festa di carnevale del paese che era la sola occasione in cui era possibile farlo – è muoversi verso luoghi più sicuri. L’occasione si presenta quando anche sua sorella Maria Teresa, stanca della madre oppressiva e della mancanza di libertà, se ne va di casa con l’aiuto di un’amica, fornendo a Josè l’occasione di aggregarsi. I due fratelli sono ospitati a Marbella, il ragazzo lavora nei campi a contatto con gli animali tanto amati e, in seguito, intraprende la professione di vedette in un locale in cui si esibisce come drag queen, l’unico modo per poter indossare abiti femminili e sentirsi a suo agio.
Durante questi spettacoli conosce Paca La Piraña [nella serie è l’unica attrice a interpretare se stessa, nda] che diventa una sua carissima amica e, per certi versi, la madre amorevole che avrebbe sempre voluto e che la sorte non le ha offerto. Successivamente decide di trasferirsi a Madrid dove lavora nella cucina di un ospedale e dà inizio al percorso di transizione grazie all’aiuto di Cristina Onassis, una transgender costretta a prostituirsi, che aiuta José nei primi passi. I momenti iniziali del percorso, che portano José alla sua autodeterminazione, non sono facili: perde il lavoro e non le resta altra strada per sopravvivere che la prostituzione – dichiara lei stessa nelle interviste «Puttana sì, e allora? Mi avete offerto altre possibilità?». Anche a Parque del Oeste esiste una rigida gerarchia; José, che da quel momento si presenta con il nome di Tanya, non può accedere subito alla strada, ma deve incominciare dai gradini più bassi vendendo vivande, solo successivamente diventa un’escort assumendo il nome di Cristina (in onore della sua mentore morta) mentre il soprannome la Veneno è attribuito dalla sua amica Paca La Piraña.
Quando ormai l’esistenza di Cristina sembra aver trovato un equilibrio, la ragazza intervistata da Faela Sainz, collaboratrice di Pepe Navarro nel programma notturno “Esta noche cruzamos el Mississippi” nell’ambito di un reportage sui “travestiti” (nonostante Cristina Ortiz, secondo le definizioni LGBT+, si dovrebbe considerare come transgender), il successo fu immediato per la sua verve. Dopo un’iniziale reticenza ad apparire in tv, la Veneno decide di comparire nel programma per essere intervistata «dando per la prima volta visibilità a chi viveva nell’ombra».
La fama, della quale a tratti diventa dipendente Cristina, è una forma di emancipazione dalla strada e di approvazione sociale, però è anche un tentativo, seppur mal riuscito, di avvicinarsi alla famiglia, in modo particolare alla madre che non ha mai accettato la sua identità di genere; la donna però decide di confrontarsi in tv non tanto per ritrovare sua figlia, ma per i compensi economici. L’unica persona a starle vicino è Angelo, il fidanzato, ma le sue premure non sono del tutto disinteressate, visto che sembra più che altro attirato dagli introiti derivanti dalla fama della partner, necessari a finanziare le proprie dissolutezze come il gioco d’azzardo e le dipendenze. Proprio questo rapporto tossico, non privo di episodi di violenza a cui la Veneno non si oppone per timore della fine del relazione, la porta alla sua condanna poiché l’uomo la spinge ad appiccare un incendio nel suo appartamento per intascare i soldi dell’assicurazione. Angelo per vendetta denuncia Cristina, la quale viene condannata a tre anni di carcere.
La permanenza nella prigione si rivela fin da subito traumatica, la Veneno, poiché in quel momento mantiene la morfologia genitale originaria, per la legge è considerata un uomo, quindi non può essere detenuta nella sezione femminile del carcere. La condanna si rivela un calvario: viene attuata una vera e propria distruzione del mito che era stata fino a quel momento; le umiliazioni spogliano Cristina di ogni elemento costitutivo della sua identità, precipitandola in un inferno terreno dove subisce abusi e violenze di ogni tipo, deprivandola della sua dignità. Gli unici a darle conforto sono Juanillo, che la rispetta e che l’ha difesa dai soprusi finché ha potuto, e Yolanda, ultima compagna di cella, che le ha dato speranza e fiducia in un domani migliore.
Da questa esperienza, per mezzo dell’aiuto di Paca e Valeria, sua biografa, Cristina rinasce dalle ceneri fino a ritornare alla ribalta, soprattutto con la sua biografia ¡Digo! Ni puta ni santa. Las memorias de La Veneno. Il testo, per le sue scabrosità, conduce probabilmente Cristina a una morte in circostanze misteriose. Nemmeno la sua dipartita è indolore, la famiglia, capeggiata da sua madre, vuole le ceneri per portarle ad Adra e seppellirla col nome di José, ma il fratello Paco si oppone chiedendo che venga rispettata per una volta la volontà della sorella deponendole a Parque del Oeste, tuttavia la madre-padrona accetta di concedere solo metà delle ceneri per questa seconda sepoltura.
La serie tv, non solo narra di Cristina e di Valeria, ma è un racconto corale della vita di persone transgender, tra cui le vicende di Paca La Piraña e di varie amiche de la Veneno, offrendo allo spettatore uno spaccato sociale che va oltre i cliché legati ai binomi transessualità-prostituzione e transessualità-frivolezza, mettendo in luce la complessità umana e caratteriale dei personaggi. Le diverse sfaccettature fanno emergere una nuova lettura della comunità LGBT+, scardinando millenarie e vetuste etichette.
Proprio questa narrazione voluta dai registi Javier Ambrossi e Javier Calvo – cresciuti guardando la Veneno in TV – si riflette nelle luci e nelle inquadrature che osserviamo nella serie: da un lato i toni color seppia per i ricordi più remoti dell’infanzia ad Adra o l’adolescenza a Marbella, dall’altro le luci abbaglianti durante i momenti glamour del successo televisivo di Cristina – finalmente riconosciuta e accettata – o durante i momenti esilaranti con le amiche, che contrastano con le tonalità cupe delle sequenze più dure come le violenze subite in carcere o i primi momenti della transizione, oppure quando la protagonista si prostituisce a Parque del Oeste.
Troviamo questa stessa violenza nella narrazione della carriera televisiva di Cristina che è sempre apparsa in tv solare e ammaliante nascondendo gran parte degli episodi più crudi della sua esistenza di cui veniamo a conoscenza con la biografia: i soprusi in gioventù, le violenze verbali e fisiche in famiglia, la prevaricazione di Angelo, il fidanzato. L’uso della forza è per la Veneno l’unica via per imporsi a Parque del Oeste e diventare un’escort di primo piano, un modo per rivendicare uno spazio per esistere.
Tra i colori forti dell’abbigliamento e degli arredi, che sembrano suggerire la volontà di manifestare e gridare la propria esistenza davanti al mondo, ne osserviamo uno in particolare che – seppur presente con una certa frequenza nel corso della serie tv – si discosta da questa linea interpretativa: il bianco, colore del candore che ricorre nei momenti clou come nel saio, indossato dal piccolo José per ricevere il sacramento della prima comunione, e provocatoriamente tagliato per ottenere un abito con abito corto, quasi a voler palesare, la propria essenza interiore davanti a tutti. Ritroviamo il bianco anche nel vestito indossato durante l’apparizione televisiva da Pepe Navarro in Esta noche cruzamos el Mississippi, quando per prima volta racconta la esperienza di transgender, e il candore dell’abbigliamento sembra simboleggiare la delicata e fragile interiorità di Cristina, in contrasto con l’esuberanza esteriore.
Un altro elemento spesso trascurato quando si è presa in considerazione soltanto la carriera televisiva de la Veneno, e che invece ha portato alla luce in primis la biografia della Vegas e poi la stessa serie, è la componente queer della soubrette che non accetta definizioni manichee, come si deduce dalle parole con cui risponde alla domanda di Faela Sainz se lei si consideri donna o uomo: «È uno scherzo? Io sono un semaforo. […] Beh, non lo so cosa sono onestamente. Un sultano? Una cortigiana? Un’indiana? Potrei essere Pocahontas?». Queste parole rivelano come Cristina giocasse con la sua identità non definendosi in una maniera univoca, andando oltre i canoni nei quali ancora oggi si tende a incasellare l’individuo.
La figura di Cristina Ortiz è ben resa nelle sfumature e nella complessità d’animo, caratterizzata dalla corrispondenza esteriorità prorompente – sofferenza interiore, dalle attrici Jedet, Daniela Santiago e Isabel Torres. Le tre interpreti hanno tracciato un ritratto della protagonista, durante le fasi di vita relative alla gioventù, all’età adulta e alla maturità, in maniera autentica e commovente. In quanto transgender, Jedet, Daniela e Isabel sono in grado di empatizzare in profondità con il personaggio di cui hanno incarnato i gesti, le emozioni e le azioni; è, in definitiva, un omaggio alla star che con la sua esistenza ha aperto un piccolo varco per un futuro migliore delle persone transgender.