‘Vissi d’arte vissi d’amore’. Storie di artiste impegnate nella cultura e nel sociale. Intervista a Egle Doria, imprendiattrice siciliana e referente Famiglie Arcobaleno
@ Anna Di Mauro (04-06-2021)
Chioma corvina, carnagione eburnea, bocca carnosa e vermiglia, occhi penetranti, come la sua voce inconfondibile, che si insinua avvolgente tra i solchi della platea, scavati dal suo sguardo acuto, dal suo gesto incisivo. Diplomata all’Accademia di arte drammatica “Umberto Spadaro” di Catania, ha frequentato a Roma il Duse Studio di Francesca De Sapio, membro dell’Actor’s Studio di New York. Predilige il teatro come linguaggio artistico a lei più confacente, pur essendo aperta alle altre forme di spettacolo, dal cinema alla televisione. La sua bellezza mediterranea, il talento, la forte personalità, fanno di lei un’artista non comune. Abbiamo chiacchierato, come è d’uso in questi tempi imbavagliati, da lontano, sulla piattaforma Zoom.
Signora Doria
come vive la sua condizione di donna, madre, attrice, e ora anche referente regionale Famiglie Arcobaleno?
Già…Una vita ricca e complessa quella di un’attrice come me che ha sposato con lo stesso entusiasmo il teatro e la compagna Maria Grazia, con la quale accudisco la figlia che ho avuto con la fecondazione assistita, naturalmente in Spagna, poiché l’Italia si trincera dietro perbenismi pseudocattolici e moraleggianti. A questo si aggiunga il nuovo impegno di referente regionale Famiglie Arcobaleno, associazione di genitori omosessuali fondata nel 2005, che promuove il dibattito pubblico sull’omogenitorialità e la tutela di tali formazioni sociali. Scoperta dopo avere già elaborato le tappe importanti del nostro percorso, l’associazione si è rivelata un prezioso baluardo a difesa dei bambini arcobaleno. Bimbi amati che vanno tutelati nei loro diritti. Ai loro genitori occorre coraggio e la consapevolezza di far crescere un figlio nella verità. Inizialmente ero restia, anzi ho avuto un attimo di paura, ad assumere un nuovo impegno, ma al tempo stesso ero felice di poter intraprendere una strada di lotta per i diritti umani. Alla fine ho accettato, incoraggiata dalla mia compagna che ha visto nei miei occhi una luce, la gioia che provavo all’idea di intraprendere questa strada.
Come ha vissuto la pandemia?
Come una meravigliosa possibilità di stare con la mia famiglia e goderne pienamente, mentre sul piano professionale è stato un buon momento di riflessione, progetti, obiettivi. Infine è cresciuto il mio rapporto con l’associazione Famiglie Arcobaleno, fino a diventare referente regionale.
Gli impegni teatrali come si conciliano con la sua vita di donna, madre e ora esponente per la difesa dei diritti civili?
Si conciliano e convivono grazie a una passione paritaria per la mia professione e la vita familiare e affettiva. Le mie giornate sono ricche e complesse, articolate tra prove, accudimento a mia figlia Marina, alla casa, al sociale, attraversate dalla gioia e gratitudine per ciò che ho realizzato.
Il teatro è la mia vita e in qualche momento importante l’ho “usato”.
Proprio il teatro mi ha aiutato a liberarmi dalle pastoie di ingombranti ipocrisie e reticenze, favorendo una confessione pubblica a cuore aperto nello spettacolo “68. Punto e basta” diretto da N. Alberto Orofino, dove ho raccontato in un monologo, scritto di mio pugno, il “mio” ’68: la mia famiglia è una famiglia arcobaleno. Un momento emozionante di condivisione che ha avuto un prosieguo in “Nove” sempre diretto da N. Alberto Orofino, uno spettacolo autobiografico in evoluzione, una sorta di working progress basato sulle vicende significative della vita di una donna come me, ma come tante altre, che ha avuto un notevole riscontro di pubblico e di critica e del quale spero di realizzare un documentario che possa girare nelle piazze di tutta Italia, una sorta di testimonianza artistica del vissuto complesso e spesso faticoso di chi come me vive l’esperienza difficile dell’omosessualità e dell’omogenitorialità. Purtroppo io e la mia compagna siamo state ostacolate in questo cammino dalla politica, dalle istituzioni, mentre la gente comune ci è affettuosamente vicina e condivide la nostra esperienza con semplicità e naturalezza. La pandemia ha peraltro agevolato gli incontri dei soci a livello nazionale con le piattaforme, favorendo i rapporti e la relazione d’aiuto.
Accanto a queste opere intrecciate con la mia esperienza umana continuo felicemente a coltivare il teatro d’autore.
Le sue ultime interpretazioni?
Naturalmente l’esperienza del Covid ha segnato profondamente il nostro cammino artistico, interrompendo le esibizioni in palco, ma non la voglia di pensare, lavorare e progettare, insieme al gruppo-teatro dell’associazione socio culturale Madè di cui faccio parte, che mi è stata di grande sostegno sul piano professionale, ma anche su quello umano. Presto debutteremo con “I moschettieri”, uno spettacolo dedicato a Catania, scritto in vernacolo e diretto da N. Alberto Orofino, che chiude una trilogia dopo “Glam city” e “La felicità”, un ‘68 al femminile. In autunno per la nuova stagione dello Stabile di Catania andrò in scena con “Le baccanti”, regia di Laura Sicignano. Infine per la rassegna “Corti in cortile” curerò la sezione dedicata ai corti teatrali. I progetti non mancano, né l’entusiasmo che mi rende forte e propositiva.
Che cosa suggerirebbe a un giovane attore che si affaccia al mondo del teatro?
Sicuramente di curare una formazione completa e dinamica che gli permetta di muoversi agevolmente tra il palco, il set cinematografico e gli studi televisivi. Oggi bisogna muoversi su più fronti, utilizzare più strumenti, sviluppare un’elasticità ormai indispensabile.
Tra i ruoli interpretati quale ha sentito più vicino alla sua sensibilità?
Premesso che per me recitare è la felicità, uno stato di benessere, salute, e dunque qualsiasi ruolo lo sento vicino, in particolare un personaggio potentissimo è stato Chiara in “Le serve” di Genet, che ha segnato il mio passaggio da fanciulla a donna, mentre nell’Ecuba de “Le troiane” di Euripide, ho sentito la sua maternità, il suo dolore e la forza straordinaria delle madri.
Per chiudere questa conversazione hai un pensiero che vuoi lasciare ai lettori?
Sento importante coltivare la bellezza di vita e arte meravigliosamente intrecciate. L’amore è nutrimento essenziale e riesce ad illuminare la vita professionale di una grande luce.
Ci congediamo da Egle Doria con l’emozionante sensazione di avere parlato con un’artista a tutto tondo, dall’energia potente, dalla vita ricca di affetti nutrienti, di passione civile e diamore per il teatro e la sua straordinaria valenza narrativa.