Il mestiere del critico
EUROPA FELIX…MAI STATA
Al Teatro Libero di Palermo, uno spettacolo di Michele Santerano
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Che l’idea di un’Unione Europea felice come la graziosa casetta del mulino bianco stia cominciando a scricchiolare mostrando le sue tante crepe non è un mistero né una novità. Portare il malessere che ne deriva in teatro, estremizzandolo in una visiona apocalittica di disgregazione già avvenuta ha invece una sua intrigante originalità. Nello spettacolo Scene d’interni dopo il disgregamento dell’Unione Europea, proposto al Teatro Libero di Palermo, Michele Santeramo immagina che la fine sia già arrivata e che ne sia responsabile anche chi in quell’unione non aveva mai creduto, chi guardava a quella forma anomala di democrazia come ad un camuffamento di dittatura edulcorato dai mille proclami dei santoni dell’economia. I fatti narrati, che coinvolgono una coppia costituitasi proprio nell’epocale evento dell’adozione della moneta unica, vengono ripercorsi a ritroso, dalla vecchiaia alla giovinezza, dall’attesa della morte all’ingenuo entusiasmo per la ventata di novità che l’euro, simpatica moneta da Monopoli, avrebbe portato.
E’ lo scorrimento di fogli con le date, posto sopra l’identikit di un ricercato speciale – e man mano modificato con l’aggiunta o la sottrazione di piccoli dettagli che seguono il cambiamento delle fattezze dell’uomo – a darci la sensazione di un breve viaggio nel tempo dal quale emergono le conflittualità e l’eccezionalità della coppia in questione, immersa in una scenografia postbellica (è di Federico Biancalani), che diviene quasi il simbolo delle devastanti ripercussioni individuali di fatti internazionali. Si sa già in partenza che l’uomo non è infine fuggito alla propria responsabilità, quella di avere accelerato un processo già in atto, mentre scopriamo che la donna non ha condiviso l’imbarbarimento dovuto all’assenza di regole che ha trasformato gli esseri umani in animali da caccia, pur soggiacendo essa stessa allo stesso processo di degradazione. Dal grande mosaico della storia europea si staccano tessere pesantissime che piombano nella microstoria dell’uomo e della donna, entrambi dovranno farvi i conti nel chiuso della casa in cui si sono spontaneamente esiliati. Sembrerebbe un testo pesante e dal contenuto scolastico, invece l’ironia lo attraversa da cima a fondo, si sorride molto, anche quando si dovrebbe soffrire per il tradimento o per modalità di approvvigionamento alimentare poco ortodosse.
La regia di Michele Sinisi, in scena anche come interprete con Elisa Benedetta Marinoni, ricava, da uno scenario di povertà desolante e di sbandamento affettivo e sociale, dei quadri che divertono nel paradosso delle situazioni create. Senza nulla togliere allo spessore della scrittura, da essi si sprigiona una leggerezza che è tanto più inquietante (in questa direzione si può leggere anche l’inserimento disarticolato e forzatamente rallentato dell’Inno alla gioia di Beethoven, inno ufficiale dell’UE) quanto più ancorata ad una realtà futuribile. Fuori scena, con una gradevole trovata che implica un “patto d’intesa” tra personaggi e pubblico, la voce dell’autore aggredisce le strutture stesse dell’istituzione europea e ne enumera le colpe: la mancanza di dignità ormai esibita senza remore, gli interessi privati mascherati da ragionamenti illuminati, l’imposizione dei sacrifici per la crescita, una crescita voluta da chi sa di potervi lucrare senza alcun contraccolpo. E poi le tante stoccate – che si inseriscono con naturalezza senza creare parentesi argomentative – ad un sistema che toglie credibilità al denaro, al patto di stabilità che ingessa la pubblica amministrazione e strozza le aziende e, soprattutto, alle banche nelle quali non si trova la soluzione ma il problema. Una provocazione? Forse, nella speranza che non sia profetica.