“Nun je da’ retta Gigi”, non un addio a GIGI PROIETTI
@ Loredana Pitino (02-11-2020)
A volte, davvero, le parole non ci sono. Non ci sono parole adatte, pertinenti, misurate per esprimere il dispiacere profondo di fronte a una perdita così e non ci sono per definire la grandezza titanica di quell’uomo che se n’è andato oggi, nel giorno del suo ottantesimo compleanno.
Cosa potremmo dire? Che Gigi Proietti era un grandissimo attore, un attore elevato a potenza e un uomo immenso? Non basterebbe mai. Nessun panegirico, nessuna ricostruzione biografica potrebbe mai rendergli l’omaggio meritato.
Non serve nemmeno ricordare le tappe della sua lunghissima carriera, sterminata; lui era nel cuore di tutti gli italiani perché tutti lo conoscevano e lo amavano. Aveva raggiunto il grande pubblico con fiction di successo con le quali era diventato uno di famiglia, austero e rassicurante. L’ultima sua apparizione al cinema ce l’ha regalata con un cameo delizioso, nel ruolo di Mangiafuoco nel Pinocchio di Matteo Garrone.
La magia dei suoi occhi, di un volto teatrale, plastico e magnetico, di un fisico possente ma duttile; la passione della sua voce, quelle mani grandi che sembravano tenere in pugno i cuori, la vibrazione dei sentimenti, la sua fede politica, l’osservazione disincantata del mondo. Tutto questo ce lo ha fatto amare da sempre, amare proprio, non come quelle personalità che si ammirano ma che restano distanti da noi, spettatori marginali. Per Gigi Proietti c’è stato da sempre un sentimento di stima e familiarità, di frequentazione assidua, di contatto epidermico e culturale. Era un grandissimo uomo che sentivamo amico, e maestro.
Gigi Proietti era il Teatro.
Tutto il teatro, la commedia, la tragedia, il musical, la scuola di teatro. Lo aveva scelto come una vera vocazione, giovanissimo e proveniente da una famiglia umile, primi passi nelle “cantine” di Roma, seguendo grandi maestri come Antonio Calenda e Andrea Camilleri, poi l’occasione di sostituire Domenico Modugno il Alleluja brava gente e da lì uno dopo l’altro successi e continue consacrazioni.
Era istrionico e completo, capace di reggere un one man show di ore cantando, imitando, usando la parodia, con nonsense e grammelot, riesumando personaggi che il grande pubblico non conosce (Petrolini) o semplicemente raccontando una barzelletta. Una sera, primi anni Ottanta, al Teatro Greco di Taormina, in una torrida giornata di fine luglio, quando in Sicilia si raggiungono i 40 gradi, arrivò sulla scena e si sedette su una elegante sedia di resina trasparente. La sedia si era letteralmente sciolta e lui cadde rovinosamente a terra fra la risata generale del pubblico. Si era fatto davvero male ma rise così di cuore e ci costruì sopra una serie di battute improvvisate che resero unica ed esilarante quella esibizione. Era così, attore puro, nel sangue e negli occhi, geniale e autentico, umano e mestierante. Del resto il teatro per lui era questo, “il luogo dove tutto è finto ma niente è falso”.
Il teatro si è mescolato con il cinema, il più grande cinema italiano, quello dei maestri Gigi Magni, Bolognini, Pasquale Festa Campanile, Monicelli, Petri, Lattuada, Steno. Ruoli sempre diversi, generi differenti, dai grandi film storici (La Tosca) alle commedie grottesche (Brancaleone alle crociate), alle commedie all’italiana (Febbre da cavallo), con qualche intervento anche nei “cinepanettoni” dei fratelli Vanzina, e poi tanto altro ancora, tantissimo che sarebbe impossibile e inutile citare totalmente. Per il cinema era stato anche doppiatore, aveva dato voce ai più famosi attori americani; il grido di Rocky che gli spettatori italiani hanno sentito “Adrianaaaaaa” era suo.
Gigi Proietti era Roma. La sua amata città. Era romano “cor core romano”, romano ribelle, romano papalino, romano tiberino, romano da stornello, romano da carbonara e da pajata, romano nel timbro della voce, un po’ rauca, un po’ melodiosa. A Roma aveva eretto un monumento di narrazione e colori e a Roma aveva chiamato a raccolta tanti giovani talenti attorno al Laboratorio nel cuore del centro storico, nelle strade coi sanpietrini e l’odore di pizza bianca, e a questi, tanti, ha lasciato un’eredità unica, una scuola di recitazione e di impegno. A Roma, a Villa Borghese, aveva ricostruito nel 2003 in Globe Theatre per realizzare un circuito intellettuale sul teatro e per il teatro.
Ascoltiamo la sua voce, stamattina, mentre scriviamo, nello stornello della Tosca, Nun je da’ retta Roma, e ci sembra incredibile, e ci sembra crudele questo addio, oggi nella giornata del suo compleanno, nella giornata dei morti.
“Nella totale perdita di valori della gente, il teatro è un buon pozzo da dove attingere”, diceva. E noi oggi, con la tristezza dei teatri chiusi e senza di lui, saremo ancora e ancora più nulla.