L’arte come antidoto. Sulla chiusura dei Teatri
@ Maresa Palmacci (27-10-2020)
25 ottobre, ore 19
Scendono inarrestabili le lacrime mentre ancora una volta mi trovo a dover accantonare comunicati stampa e piani di comunicazione programmati da tempo, a strappare pagine di agende, annullare incontri. Nei prossimi giorni più nessuna prima a cui presenziare, nessuna rassegna stampa da stilare, nessun giornalista da accogliere, nessun attore da ascoltare, nessun palco da vedere. Nessuna poltrona da occupare, nessun teatro da abitare. Lo stesso incubo di qualche mese fa si è riproposto, ma ora, probabilmente, è più difficile da accettare. Non riesco a non provare infinita tristezza considerando i sacrifici fatti da tutti per rialzarsi. Mi passano davanti agli occhi il coraggio di quei direttori che in questi mesi hanno programmato, organizzato, prodotto spettacoli impegnandosi a rispettare ogni norma, a garantire massima sicurezza agli spettatori; penso agli attori e registi che si sono adattati, hanno rivisto testi, progetti artistici, hanno ridotto guadagni, numero di repliche pur di dar voce alle loro idee e alla loro arte, per amore di ciò che non è solo la loro professione, bensì la propria vita; rifletto sul pubblico che era tornato con vitalità e gioia ad affollare le platee, nonostante i mille controlli, l’obbligo di mascherine, il distanziamento. Da domani saremo tutti orfani, più poveri (moralmente) … privati di quei pochi e rari luoghi in cui sentirsi sicuri e protetti, in cui poter trovare la forza morale e culturale per affrontare il buio di questo tempo. Luoghi in cui poter sognare e sperare, nonostante tutto.
Il teatro e il cinema mi hanno salvato tante volte nella vita. A teatro (e al cinema, ai concerti) ho imparato a reagire al dolore, a riflettere sull’esistenza, a conoscere le emozioni. A teatro mi sono innamorata, ho pianto, ho riso, ho sognato, ho conosciuto persone che sono pilastri della mia vita. Con il teatro ho viaggiato, esplorato mondi, preso per mano personaggi, guardato negli occhi persone, empatizzato con cuori e anime. A teatro sono entrata in storie, attraversato epoche diverse, inglobato la diversità accentandola come opportunità. Ho imparato ad accogliere le sfide, a perdere, a mettere a nudo me stessa, a non avere paura di mostrare chi sono e ciò che penso. A teatro ho trovato un lavoro, spesso una seconda famiglia, una casa. Il teatro è una comunità. E pensare che, di nuovo, tutto questo mi sarà negato mi provoca rabbia. Rabbia nei confronti di uno stato, un paese che ci reputa inutili, che mi/ci nega la possibilità di lavorare, che ci proibisce di coltivare arte, bellezza, nel pieno rispetto della salute, che chiaramente è prioritaria. Sono la prima a riconoscere la pericolosità del virus e la drammaticità della situazione, però il sacrificio della cultura non sarà la soluzione al problema, anzi… I contagi non diminuiranno (perché non è in questi luoghi che ci si contagia) e se si pensa di limitare così le uscite, si sbaglia.
Il teatro e il cinema in questi mesi sono i posti in cui mi sono sentita più protetta in assoluto. Questa è una chiusura ingiusta e un sacrificio vano, che purtroppo (temo) porterà conseguenze devastanti. E ora? Che fare? È tutto inutile? Bisogna arrendersi o lottare ancora?
Mentre questi dubbi mi assalgono, mi cade l’occhio sul link di un progetto uscito qualche giorno fa, Avanti Veloce, una serie di brevi monologhi-video realizzati dal Teatro stabile di Catania, che si interrogano sulla necessità o inutilità nel teatro. Clicco. Scorrono le immagini, i volti degli interpreti, le parole e la loro potenza, mi commuovo come mai nel vederle (probabilmente chiunque abbia preso queste decisioni dovrebbe farlo), sono lo specchio di ciò che questo settore sta vivendo, della sofferenza che sta provando … E allora le lacrime lasciano spazio alle risposte. L’ultimo video, “Le sette forature” su testo illuminante di Lina Prosa mi apre gli occhi. Gli attori e in generale il teatro sono dei messaggeri, sono da secoli portatori di idee, storie, concerti, messaggi, sono araldi che hanno attraversato epoche, luoghi, guerre, periodi storici senza mai fermarsi, nessuno li ha mai uccisi o reciso le loro ali. Gli artisti non fanno divertire (o almeno non fanno solo quello), hanno il compito di formare generazioni.
Ma se oggi la porta del teatro è sbarrata e il teatro non è pronto, tutto ciò che facciamo è inutile per la prima volta?
No, mai, e anzi adesso più che mai è necessario, prezioso, divino, e va protetto, tutelato, amato, (non solo dal punto di vista economico, purtroppo con il Teatro non ci si arricchisce, si sa), non si vogliono elemosine, ma la possibilità di trovare presto quella porta aperta. C’è bisogno di rialzare presto i sipari per portare nuovi messaggi in un mondo sempre più solo e malato. Che rischia di morire (e non solo di Covid). Servono cure per le anime, ormai perse, abbandonate, arrabbiate, deluse. L’arte è l’unico antidoto che si ha a disposizione e va perciò diffusa, ancora di più. Va prescritta. Impegniamoci, dunque, tutti, a far in modo che i teatri, i cinema e i luoghi in cui si fa cultura riaprano. Una chiusura prolungata potrebbe avere esiti devastanti. Gli artisti non devono arrendersi ma continuare a produrre cultura, il pubblico deve farsi sentire, i giornalisti raccontare. Ognuno con i propri strumenti dovrà far in modo che l’arte riparta, che le luci sui palcoscenici si riaccendano al più presto. Anche questa foratura non sarà vana. A me restano solo le parole… proverò ad usarle, a darvi voce. Possono chiudere i teatri, ma non devono uccidere l’entusiasmo. I luoghi di cultura sono il pronto soccorso dell’anima. La cultura cura, non contagia. Gli artisti no, non sono meno utili dei medici.
Resistiamo.
Maresa Palmacci
giornalista, ufficio stampa, spettatrice, amante del Teatro