La pasta alla Norma a teatro. Intervista a Silvio Laviano, attore del Teatro Stabile di Catania (ma non solo)
@ Loredana Pitino (21-10-2020)
Catania – La città di Catania da almeno un decennio, ha la fortuna di vedere crescere una generazione di attori più che bravi, preparati, eclettici, versatili, pieni di vigore ed entusiasmo; la maggior parte appartiene alla squadra del Teatro Stabile, ma non solo.
Ci onoriamo dell’amicizia di uno dei più bravi e dei più versatili, Silvio Laviano, e con lui abbiamo fatto una chiacchierata sulla sua carriera, sul teatro e su questo momento storico, così difficile per tutti, ma per l’arte in generale, difficilissimo.
Silvio, attore catanese che si è formato fuori, a Genova. Quali motivazioni ti hanno portato a tornare nella tua città? Perché hai scelto come tuo punto di riferimento Catania quando moltissimi artisti emigrano per sempre?
Non amo aggiungere la provenienza geografica accanto alla mia professione, sì sono nato a Catania e sono molto legato a livello emotivo e personale alla mia città ma a 19 anni ho avuto il bisogno di andare via, studiare, crescere e viaggiare e i fatti della vita prima professionali e poi privati mi hanno riportato nel 2011 in Sicilia a Palermo prima e poi a Catania.
Non mi reputo uno “stanziale”, in questo momento, già da qualche anno, vivo e respiro la città di Catania ma ho anche la fortuna di poter attraversare dei periodi fuori dalla Sicilia grazie al mio lavoro. Ho vissuto a Genova, Milano, Roma, Parigi, Napoli per lavoro e per amore del mio lavoro.
Quindi mi piace pensarmi sempre “di passaggio”, certo con punti di riferimento forti ma sempre in movimento, in divenire e spero in crescita. In questo momento della mia vita Catania è un approdo ma sempre con l’idea o la possibilità di un nuovo viaggio…di nuove scoperte.
A volte mi piace vedere e vivere Catania come un “emigrante” al contrario, mi ci trattano, alcuni, da straniero o da extraterrestre e a volte riesco a cogliere sfumature nuove o a creare un distanziamento emotivo che mi permette di allargare i miei obiettivi o la mia immaginazione.
Essere siciliano e lavorare in tanti teatri italiani, fa la differenza?
Credo che la differenza più grande sia nella mia capacità di saper cucinare una discreta pasta “alla Norma” meglio di un Torinese o di un Romano! E questo in una compagnia teatrale non siciliana può fare la differenza. Una grande differenza! Ironia a parte la Sicilia in tutta Italia si presenta sempre con un buon biglietto da visita, più di quanto si possa pensare, e tolti i “luoghi comuni” positivi e negativi: sole, cibo, mare…la mafia, è importante fare la differenza come persona e come professionista e anche le melanzane fritte avranno un gusto migliore!
Abbiamo visto Laviano in tante opere diversissime tra loro, da Pirandello a Euripide, passando per autori contemporanei e sperimentazioni. Dove ti trovi più a tuo agio? C’è un autore che ami di più?
E’ una domanda difficile per me. Negli anni ho affrontato appunto vari autori, i grandi classici e i contemporanei, alcuni li ho anche traditi altri li ho volutamente “uccisi” ma ad esempio ho interpretato Shakespeare in spettacoli nei quali non mi sono trovato bene o a mio agio, a causa di varie ragioni, e, a volte, invece ho “agito” in testi inediti di autori sconosciuti che ho amato profondamente. Mi trovo a mio agio quando la “macchina spettacolo” è organica, ecco quando è appunto un organismo vivo dove attori, regia, autore creano un progetto univoco e hanno un fine comune. Poi onestamente se mi dicessero “saresti disposto a interpretare per i prossimi cinque anni solo Čechov e Shakespeare?” Direi subito sì..sì…sì con molto piacere! Ma mi conosco e dopo poco andrei a scovare, per curiosità o voglia, un poeta sconosciuto mai rappresentato e mai letto. Ho solo voglia di raccontare belle storie nel miglior modo possibile, questo mi fa sentire a mio agio. A mio avviso c’è bisogno di autori nuovi, di testi nuovi, di ruoli nuovi. L’ho detto nuovo?
Sei attore ma anche regista, non ti chiedo di scegliere, sarebbe questione mal posta; ti chiedo cosa porti con te dell’attore quando dirigi e cosa ti porti del regista quando reciti?
Porto sempre le stesse scarpe! Ecco io non sto mai fermo, né in veste di attore, per ovvie ragioni, né in quelle sempre inusuali e un po’ più faticose per me, di regista.
Ma i due ruoli convivono sempre. Mi sforzo di non essere solo un interprete ma anche da attore cerco di dirigermi dall’interno nel rispetto assoluto del Regista e dello spettacolo dato. Credo però che un attore debba essere capace di dirigere i propri mondi emotivi, tradurre le indicazioni tecniche o immaginifiche di un regista, creare uno spazio fisico e emotivo tale da diventare uno strumento attivo a servizio di un’idea e mai passivo, mai una mera funzione. Stesso processo cerco di attuarlo quando sono dall’altra parte, mi piace accompagnare gli attori nello sviluppo di una personale visione emotiva, di essere il fulcro di un processo creativo attraverso la tecnica, la sincerità, ma soprattutto attraverso una verità emotiva.
In definitiva sono un attore che non sta mai zitto e, a volte, un regista che non sta mai fermo!
Ci sono ruoli che hai rifiutato perché non ti convincevano?
Ci sono progetti, spettacoli e registi che “ho rifiutato”, capita, serve! Il nostro lavoro è essere scelti ma a volte è anche fare scelte. E bisogna imparare a dire di no, nel rispetto assoluto di ognuno.
Negli ultimi anni ho detto alcuni no. Il rifiuto “subito” o dato è importante nella crescita di un individuo, di un attore o semplicemente di qualcuno, che come me, ha bisogno di sperimentarsi sempre e di cambiare e, come detto sopra, ho bisogno di sentirmi a mio agio che non significa solo stare comodo. Anzi! Ecco io sono scomodo per natura e mi piace misurarmi con la “scomodità” di un ruolo in un progetto interessante e con registi che possano insegnarmi qualcosa e ai quali donare io qualcosa.
Domanda classica, scontata ma necessaria: quale ruolo c’è nei tuoi sogni?
Il prossimo, sempre il prossimo. Per anni ho avuto la fissa per Amleto. Poi ho capito che, forse, non capiterà mai. Ma non è grave e allora “Dirò la mia parte in punta di lingua…” (vedi Amleto Atto terzo Scena seconda) sempre e comunque.
Essere attori oggi, da febbraio 2020, cosa ha significato per te il periodo di fermo forzato? Quali preoccupazioni, quali mancanze e quale la tua posizione nel complesso dibattito (fuor dalla polemica) che si è aperto attorno a questo tema?
Questa domanda avrebbe bisogno di un’intervista a parte. Un Attore fermo è un ossimoro, un paradosso, una tragedia scritta male. Come tanti lavoratori dello spettacolo ho sofferto e sto soffrendo. Ho avuto la fortuna di “ripartire” dopo mesi di disoccupazione. Ma una vera ripartenza non c’è e non può esserci fin quando alla crisi pandemica ed economica non verrà trovata una soluzione, una cura, una fine.
La mia posizione è molto semplice: avrei sperato, come un po’ è accaduto ma per poco, che l’attuale crisi fosse anche un’opportunità sul domandarsi davvero qual è la necessità del nostro lavoro in una società civile, la necessità della cultura, dell’arte e della professione. E qui sta la domanda. Credo che bisogna interrogarsi e fare riflettere sul professionismo e sulla professionalità, sul valore di un mestiere. L’Italia è un paese di tuttologi e quindi anche di “attori”, ahimè…ahinoi. Non mi dilungo, sono in crisi come tutti, mi reputo un fortunato ma sono preoccupato e sono solidale con i tutti i lavoratori dello spettacolo e con tutte le maestranze (ma quelli veri).
Per quanto riguarda la polemica, i dibattiti ecc. ecc. Umberto Eco una volta disse: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».
Ecco non sapevo che Eco avesse vissuto a Catania
(fuor di polemica…ndr)
Nel tuo progetto che si sta realizzando al Teatro Stabile, Avanti veloce, troveremo una proposta per ripensare il teatro ai tempi del covid? Ce la puoi sintetizzare?
Cinque autori per cinque attori in cinque minuti. Cinque monologhi scritti da 5 drammaturghi siciliani e interpretati da altrettanti attori siciliani. Cinque creazioni drammaturgiche originali che si interrogano sul valore del teatro, sulla sua necessità.
Riscopriamo l’ascolto, un nuovo ascolto, o meglio, rispolveriamo l’ascolto antico, autentico, vero, diretto. Sei donne e cinque uomini, tra attori, drammaturghi e videomaker che in cinque brevi film racconteranno uno spazio vivo, reattivo, pulsante anche svelando angoli nascosti, inusuali, sconosciuti di quel luogo della “riproduzione emotiva” per eccellenza che è il Teatro. Tutto è palcoscenico, tutto vibra nella necessità di esprimersi, di rinascere.
I testi sono di Tino Caspanello, Rosario Lisma, Rosario Palazzolo, Lina Prosa, Luana Rondinelli
La direzione video è a cura di Giovanna Mangiù
Gli attori sono Giovanni Arezzo, Alessandra Barbagallo, Barbara Giordano, Egle Doria, Silvio Laviano.
Si può ripensare il teatro?
Si può mai ripensare la ricetta della pasta “alla Norma”. Secondo me no. E’ perfetta così. Servono ingredienti genuini, la “fame” di un numeroso convivio, una grande tavola accogliente, olio buono, profumo, sapidità e la leggerezza di una frittura fatta bene. Calda, sincera, qui e ora.
Ovvio poi serve talento, onestà intellettuale, concretezza e voglia di condividere con generosità. Sale e pepe q.b.