Mercurio Festival, un altro pianeta tra i festival. Intervista a Giuseppe Provinzano
@ Paolo Randazzo (02-10-2020)
PALERMO. Se c’è una qualità che connota la personalità del regista palermitano Giuseppe Provinzano è la generosità. Non ci riferiamo (solo) al modo positivo con cui si rapporta col prossimo, ma all’apertura e alla disponibilità umana e artistica con cui affronta, ed anzi per certi versi ricerca, gli incontri e i confronti artistici e culturali. Tutto il suo lavoro teatrale, indipendentemente dagli esiti dei singoli spettacoli, è attraversato da questa tensione e così l’impresa di aprire e gestire un nuovo teatro a Palermo (lo “Spazio Franco”, nei Cantieri culturali della Zisa). Lo abbiamo incontrato in relazione alla seconda edizione del “Mercurio Festival”, la manifestazione pluridisciplinare che si è svolta e sta volgendo al termine in questi giorni (dal 25 settembre al 3 ottobre) a Palermo, facendo base allo Spazio Franco. In scena uno stimolante mosaico di artisti e performer diversi e lontani tra loro: da Chiara Bersani a Ippolito Chiarello, da Elio Germano a Giorgio Ferrero, da Carullo Minasi al duo catalano Kònic THTR di Rosa Sànchez e Alain Baumann, da Giorgio Canali a Roberto Castello.
Perché l’azzardo di un festival in tempi di pandemia? Perché ritiene che questo festival sia necessario per Palermo e per il panorama teatrale nazionale.
«Non potevamo interrompere il progetto di un festival che vuole essere unico nel suo genere.Un festival che riflette sul senso delle direzioni artistiche, scardinando il classico meccanismo delle direzioni artistiche e prendendo come fondante l’assioma che ci fa notare come in Italia “ci siano piú direttori che direzioni”. Una riflessione che è una dinamica e un meccanismo che aveva bisogno di verificarsi e sperimentarsi, permettendo agli artisti protagonisti della scorsa edizione di invitare ognuno un altro artista per l’edizione successiva. Abbiamo deciso di ripartire, quando si sono aperte le maglie per una riapertura, con la nostra creatura più giovane che, solo in questaseconda edizione, mostra il suo potenziale e la forza del suo principio fondante:ovvero prendere/dare una direzione e farlo mettendo in rete gli artisti di edizione in edizione, permettendogli di riconoscersi nel percorso di un altro collega».
Nel programma del festival sono previste creazioni tramite di linguaggi che sono paralleli al teatro (video art, istallazioni, cinema), danza: qual è il senso di inserirle nel programma di “Mercurio festival”?
«Il Mercurio Festival è un festival multidisciplinare che riflette col suo meccanismo sperimentale sul concetto e sui sensi del concetto di direzione artistica. Multidisciplinare è la natura del nostro Spazio Franco ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo e altrettanto lo è la stessa Babel, la nostra compagnia: i successidi questi quasi dieci anni di vita li devo, tra le altre cose, alle possibilità che ci dà l’essere un insieme di professionalità, artisti e artisticità dalle differenti e complementari provenienze e nature. Anche il nome Babel lo abbiamo scelto come sfida, affinché la pluralità dei linguaggi espressivi fosse una forza, una caratteristica distintiva. Con lo stesso approccio abbiamo immaginato il nostro festival, affinché si potessero mischiare i pubblici che,secondo noi, almeno a queste latitudini, sono troppo settorializzati».
Oltre agli spettacoli e alle perfomances ci sono i laboratori, perché questa scelta?
«Ogni artista che riceve l’invito da un artista dell’edizione precedente inizia con noi di Babel/Spazio Franco un processo di curatela che ci porta a pensare e scegliere insieme quale progetto possa meglio raccontare il proprio lavoro. Laddove tra le pratiche del lavoro di quello o quell’altro artista dovesse emergere anche una particolare propensione alla didattica e alla formazione non disdegniamo la possibilità che qualcuno possa mostrare il proprio lavoro attraverso un laboratorio, workshop o seminario. Non possiamo inoltre dimenticare quanto ci sia bisogno nella nostra terra di un confronto con maestri e artisti extra-isolani che vada oltre la rappresentazione. Sono sempre meno le occasioni di formazione di alto livello e spesso, purtroppo, noto come la formazione diventi un ripiego di molti per sbarcare il lunario. Lo capisco. Non lo biasimo. Attraverso Mercurio possiamo però allargare la platea degli approfondimenti sulle pratiche e sui percorsi».
È interessante la sua scelta di non partecipare al festival con una regia o comunque con un lavoro della sua compagnia. Come motiva questa scelta?
«La risposta sarebbe semplice: perché nessuno degli artisti della scorsa edizione mi ha invitato a presentare un mio lavoro. Il Mercurio Festival ha una sua dinamica innovativa e sperimentale: io non amo particolarmente il decisionismo del dirigere (se non quando dirigo da regista appunto) preferendo la pratica del provare a dare una direzione, ma nel contesto del Mercurio Festival agisco più da curatore, che appunto accoglie gli inviti e li mette nelle condizioni di meglio mostrare il proprio lavoro. Mercurio è a tutti gli effetti un nuovo pianeta tutto da esplorare nella geografia dei festival italiani: quanti direttori artistici conosce che si metterebbero nella condizione di non poter presentare un proprio lavoro nel proprio festival e di non poter essere lui a invitare gli artisti?».
Accanto al lavoro nella gestione e nella direzione artistica di Spazio Franco, ha una presenza attiva nella rete Latitudini. Come giudica questa esperienza associativa?
«Non posso che guardare con positività al potenziale che ha una rete come Latitudini su tutto il territorio regionale: c’è tanto lavoro da fare, c’è da scardinare le consorterie che in questi ultimi anni non hanno mostrato chissà quale progetto culturale rivolto alla promozione delle arti sceniche, c’è da abitare e scoprire territori nuovi, c’è da aprire nuovi spazi e far rinascere nuovi teatri su tutto il territorio regionale, c’è da colmare spesso le mancanze della politica. Tutto questo lo si può fare attraverso le competenze e le capacità degli artisti e degli operatori professionisti siciliani, in grado di confrontarsi e riconoscersi merito e qualità, abbattere i nostri recinti per costruire dei nuovi percorsi comuni che,pur nel pieno rispetto delle individualità, possano migliorare le condizioni di lavoro di tutti. C’è una frase che mi piace dire a chiunque si avvicina a Latitudini, parafrasando la nota espressione di Kennedy: Non domandarti cosa possa fare Latitudini per te, ma cosa puoi fare tu per Latitudini».