Una nota stonata. ‘Padrenostro’ di Claudio Noce, Coppa Volpi a Pierfrancesco Favino alla 77. Mostra del Cinema di Venezia

Una nota stonata. ‘Padrenostro’ di Claudio Noce, Coppa Volpi a Pierfrancesco Favino alla 77. Mostra del Cinema di Venezia

@ Loredana Pitino (28-09-2020)

Presentato in concorso alla 77. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il film di Claudio Noce (sceneggiatura scritta da Noce ed Enrico Audenino) racconta la storia tragica vissuta dal regista quando suo padre, il vicequestore Alfonso Noce, venne rapito dai Nuclei Armati Proletari, nel 1976. Durante l’attentato vennero uccisi uno dei terroristi e un agente di polizia.

La pellicola comincia da quel momento, ma non vuole essere affatto una ricostruzione storica o politica degli avvenimenti o di quegli anni terribili. Vuole essere soltanto il racconto memoriale del trauma profondo che il piccolo Valerio (il nome dato al vero protagonista) vive assistendo alla sparatoria e il legame profondo e ricercato con il padre.

Tutta la vicenda, infatti, è conosciuta, vissuta e vista con gli occhi di un bambino come un sogno che a tratti si fa incubo, come una vertigine che disorienta, e come spesso accade agli occhi di un bambino, tale da fare perdere le coordinate logiche e cronologiche.

Il personaggio che dà il titolo al film, il Padrenostro interpretato da Pierfrancesco Favino, in realtà è una figura poco presente nella trama, se non come spunto, come occasione dalla quale si sviluppa la reazione e di conseguenza la crescita del bambino, interpretato dal piccolo Mattia Geraci.

Il rapporto con il padre è più cercato, quasi preteso dal figlio che quasi non si accontenta della presenza della madre (“perché non ti basto io?” chiede questa a un certo punto a Valerio) e la sua assenza incombe più della reale vicenda tragica, su tutta la storia.

A Valerio e alla sua famiglia si avvicina e si affianca una demoniaca presenza adolescenziale, un amico (forse immaginario?) che ha i tratti di Lucignolo, interpretato da Francesco Gheghi.

Le sequenze filmiche indugiano principalmente sugli occhi del piccolo e su quello che quegli occhi vedono. Immagini atroci nella scena della sparatoria con la morte del terrorista vista da vicino, immagini di Roma scoperta e ammaliante nella fuga dal collegio con la “cattiva compagnia” appena conosciuta, immagini amene della Calabria dei nonni, dove tutto è natura, tutto è scoperta, tutto è meraviglia, fanno la struttura del film (bella la fotografia di Michele D’Attanasio).

Per il resto la trama rimane decisamente frammentaria, frutto di una sceneggiatura superficiale che ambisce a suggerire ed evocare eventi, collegamenti, rapporti ma lascia molti dubbi e ha scarso impatto, proprio laddove avrebbe dovuto di più approfondire, sul piano dell’emozione.

Favino, per questo film, a Venezia, ha vinto la Coppa Volpi, riconoscimento meritatissimo come attore, magari non proprio per questo film che non gli ha permesso di esprimersi al meglio, forse perché Noce contava davvero troppo su Favino, sul grandissimo Favino di Hammamet, del Traditore, di Saturno contro, di Romanzo criminale…. (potremmo non finire più), talmente tanto da non costruire per lui un personaggio definito. Rimane tutto sul piano del suggerito ma senza nessuna suggestione.

L’utilizzo di brani di musica classica celeberrimi – Vivaldi – ci è apparsa una trovata un po’ furba, un accostamento voluto e scontato tra movimenti scenici e passaggi musicali, ora lenti, ora incalzanti.

Il finale aperto non sorprende perché non-concluso, ma perché inconcluso. Rimane una nota interrotta, quasi stonata.