Questa è la volontà di Dio. ‘L’amante di Gramigna’, dalla novella di Verga, adattamento di Massimo Giustolisi
@ Loredana Pitino (20-08-2020)
Catania – All’interno della rassegna Catania Summer Fest, nella cornice barocca del cortile “Mariella Lo Giudice” del Palazzo Platamone, abbiamo assistito a uno spettacolo nuovo, fresco, originale, messo in scena dalla compagnia Buio in sala, (una realtà catanese che da anni si sta ritagliando una posizione di tutto rispetto all’interno del ricchissimo panorama teatrale della città): L’amante di Gramigna, riadattamento della novella di Giovanni Verga di Massimo Giustolisi, per la regia di Giuseppe Bisicchia e dello stesso Giustolisi.
Uno spettacolo nuovo perché il testo non aveva avuto, come altre novelle, per esempio La Lupa, la versione narrativa e quella teatrale per opera dello stesso Verga; per il grande Verista, questo era e doveva essere solo un bozzetto: “Caro Farina, eccoti non un racconto, ma l’abbozzo di un racconto. Esso almeno avrà il merito di essere brevissimo, e di esser storico — un documento umano, come dicono oggi; interessante forse per te, e per tutti coloro che studiano nel gran libro del cuore. Io te lo ripeterò così come l’ho raccolto pei viottoli dei campi, press’a poco colle medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare”(Prefazione)
La prima vera e propria novella verista, nelle intenzioni del suo autore, doveva essere un piccolo studio sociale, un documento umano, raccontato attraverso la tecnica dell’impersonalità, con un narratore che si eclissa dietro una focalizzazione interna variabile, senza esprimere giudizi, senza scandagliare l’animo dei personaggi, senza scavi psicologici.
Massimo Giustolisi, con grande rispetto verso Verga, ha ampliato il racconto, ha sviluppato i personaggi, ha studiato ogni singolo spunto accennato dall’autore e ha realizzato una pièce organica, che si arricchisce anche di alcune poesie di Giovanni Meli, poeta catanese, e momenti musicali molto intensi grazie al lavoro di Ettore D’Agostino.
“Parecchi anni or sono, laggiù lungo il Simeto, davano la caccia a un brigante, certo Gramigna, se non erro, un nome maledetto come l’erba che lo porta, il quale da un capo all’altro della provincia s’era lasciato dietro il terrore della sua fama”, questo l’incipit verghiano e sulla scena, volutamente scarna (curata da Giuliana Musso), è ricostruito l’ambiente del paese di Licodia, nell’entroterra siciliano, paesaggio topico nelle novelle di Vita dei campi, c’è questo ma c’è anche tanto di più. C’è un omaggio a Pirandello, quello dei miti siciliani, quello di Liolà (la citazione “Pensa la cosa prima che la fai, il nome di zâ Cruci dato a una delle comari), e c’è una forte volontà di realizzare un’operazione drammaturgica assimilabile alla tragedia greca, poiché l’umanità verghiana si trasforma in un coro di memoria euripidea, narrando le vicende dall’esterno.
Il narratore interno, corale, che Verga introduce in tutte le novelle e nei romanzi, Giustolisi lo concretizza, dandogli corpo e voce, realizzando un coro greco, che fa da prologo e da commento. Laddove Verga parla di comari coi loro pettegolezzi e le loro “ngiurie”, qui troviamo un gruppo di donne e uomini che introducono i dialoghi fra i personaggi principali, fanno da collante fra i vari quadri scenici, cantano melodie dolcissime sulle parole del Meli, scandiscono con un ritmo incalzante il racconto con un pathos diegetico dal forte impatto emotivo. In questo sono stati bravi gli allievi della Compagnia Buio in sala Acting School, ai quali è stato affidato questo difficile ruolo: Laura Accomando, Grazia Cicciarello, Ignazio Marchese, Valeria Mazzaglia, Francesca Nastasi, Daniele Triolo.
I personaggi principali hanno qui corpo e anima.
Peppa, interpretata da Irene Tetto, attrice che ha già dato prova prima di grande competenza letteraria (altre volte ha curato le trasposizioni teatrali di opere verghiane come Storia di una capinera), e poi di versatilità dei ruoli, passando dagli Innamorati di Goldoni a Brancati, sul palcoscenico del Platamone è apparsa una creatura eterea ma appassionata, capace di donare tutta se stessa per inseguire non l’amore – non c’è amore nel mondo di Verga – ma una passione travolgente, un fuoco che la tiene sveglia la notte a guardare la luna e a sognare il suo brigante odiato da tutti, reietto, emarginato che nella penna di Giustolisi è diventato un eroe romantico.
Già Gramigna, di cui Verga non ci dice il nome ma solo il soprannome, la ngiuria con cui i paesani lo appellavano per riconoscerlo subito come malvagio, maligno al punto che, come “la mala erba” uccide tutto ciò che tocca. Un brigante.
Cosa significava essere brigante nella Sicilia post-unitaria? Verga – che aveva dato la sua versione aristocratica e paternalistica sui fatti di Bronte, nella novella Libertà – assumendo la concezione determinista del darwinismo sociale, non aveva fatto che un cenno su questo brigante inseguito dai carabinieri dei paesi della Piana di Catania e poi assicurato alla giustizia. Giustolisi, e qui crediamo di rintracciare il passaggio più meritevole di tutta la sua riscrittura, ha indagato con altro sguardo la figura di quest’uomo e ce ne fa sentire la rabbia, la disperazione, la solitudine; inverte la rotta e approfondisce l’umanità dell’eroe nero. In questo il personaggio di Gramigna ha qui ricevuto corpo e voce da Gaetano Naselli che lo ha reso credibile nella sua vulnerabilità.
La madre di Peppa, la Gna Filomena, rappresenta la saggezza popolare, la donna anziana che ha predisposto per la figlia una sorte felice, con il corredo e “la roba” che acquisterà col matrimonio, e qui ha anche il compito di fare da contrappunto alla decisione inesorabile di Peppa di seguire il suo cuore, il suo petto che brucia di passione. Nel ruolo della madre Nadia Trovato, ha interpretato la figura di questa donna severa con misura e reale tragicità, soprattutto nella battuta “l’avesse uccisa la malaria!”
Giustolisi ha ritagliato per sé il ruolo di Finu, detto “candela di sego”, il fidanzato destinato a Peppa sin dall’adolescenza che appare in questa versione come davvero innamorato (molto bella la scena del sogno, dove i due fidanzati si parlano, si contemplano, si seducono con sguardi e gesti); innamorato prima, quando ancora Peppa si poteva redimere, quando si poteva pentire, ma dopo, quando si viene a sapere che è incinta, non può più amarla, non può più sposarla, perché Peppa ha perso l’onore e un uomo, nella Sicilia di fine Ottocento, questo non poteva tollerarlo. Ben equilibrata l’interpretazione, sentita e vera negli sguardi, nei gesti di timidezza e desiderio, nella fuga finale.
A tutto questo ha dato corpo la regia di Giuseppe Bisicchia che costruisce, in una struttura circolare, con le sue trovate sceniche, coi movimenti e la suddivisione delle parti narrate al coro, uno spettacolo completo, sobrio e asciutto, senza melodramma ma con una punta di commozione che arriva allo spettatore insieme a un momento di riflessione che Verga aveva volutamente trascurato e qui, invece, si suggerisce.
E il finale non potrà che essere quello scritto nell’amaro destino dei protagonisti: È vero! rispondeva Peppa, lo so! Questa è stata la volontà di Dio.
Lo spettacolo si ripeterà a Vizzini, per le Verghiane 2020, il 30 agosto.
L’amante di Gramigna a Catania, rassegna Summer Fest, dalla novella di Giovanni Verga, adattamento di Massimo Giustolisi.
Peppa: Irene Tetto Finu: Massimo Giustolisi Gna Filomena: Nadia Trovato Gramigna: Gaetano Naselli e gli allievi di Buio in Sala Acting School Laura Accomando, Grazia Cicciarello, Ignazio Marchese, Valeria Mazzaglia, Francesca Nastasi, Daniele Triolo. Le canzoni orginali sono di Ettore D’Agostino Scene di Giuliana Musso Assistente alla regia Giovanna Sesto Regia Giuseppe Bisicchia e Massimo Giustolisi