Tra Kant e il maiale. Note sparse sull’ottimismo gastrico e gli affetti stabili
@ Amelia Natalia Bulboaca (28-04-2020)
Se mio padre potesse scegliere fra la compagnia di Kant e quella di un maiale da ingrasso premiato a Ried nell’Innkreis, un famoso mercato del bestiame, (…) deciderebbe all’istante a favore del secondo.
(Thomas Bernhard, Estinzione)
Con la sua inconfondibile geniale malignità, Thomas Bernhard metteva il dito nella piaga suppurante del più grande male della modernità. Non tutti saranno d’accordo con questa affermazione categorica perché non tutti sceglierebbero Kant, scartando il maiale. Anzi, molti sceglierebbero all’istante il maiale. Ad oggi teatri, cinema, musei, biblioteche e librerie restano saldamente sbarrati mentre i supermercati non hanno mai chiuso i battenti e presto riapriranno anche bar e pizzerie. Non apriranno le chiese ma le spiagge decisamente sì. Dunque niente librerie, niente Kant ma a fronte di tanta offerta di prosciutto al supermercato chi potrebbe avere nostalgia dell’accigliato filosofo di Königsberg e della sua Humanität così desueta? La verità è che da anni è in corso una crociata senza precedenti contro quello che alcune povere anime antiquate indicherebbero con l’inusuale espressione: ‘vita dello spirito’. La vita dello spirito non ha più ragione di essere al momento attuale. Termini come ‘anima’, ‘vita spirituale’, ‘pietas’ non trovano più circolazione nel commercio delle idee che adopera come moneta corrente il conio della più brutale mediocrità. Non c’è più neanche la possibilità di scegliere tra Kant e il maiale: ci è semplicemente imposto il maiale. Il maiale è una metafora, certamente. All’uopo andrebbe benissimo anche la torta visto che la clausura forzata ha attivato strani impulsi pasticceri tra gli invasati del lievito che le sfornano compulsivamente per consumarle in collegamento Zoom con amici e parenti. E allora viene proprio da dire con Čechov: «quello che più mi ripugna è la loro sazietà e quel loro ottimismo gastrico proprio da bue o da cinghiale».
Gli affetti stabili
Ci sono al mondo i superflui, gli aggiunti,
non registrati nell’ambito visuale.
(Che non figurano nei vostri manuali,
per cui una fossa da scarico è la casa.)
Ci sono al mondo i vuoti, i presi a spintoni,
quelli che restano muti: letame,
chiodo per il vostro orlo di seta!
Ne ha ribrezzo il fango sotto le ruote!
Ci sono al mondo gli apparenti – invisibili,
(il segno: màcula da lebbrosario!)
ci sono al mondo i Giobbe, che Giobbe
invidierebbero se non fosse che:
noi siamo i poeti – e rimiamo con i paria,
ma, straripando dalle rive,
noi contestiamo Dio alle Dee
e la vergine agli Dei!
(Marina Ivanovna Cvetaeva)
Al mondo ci sono anche loro, sottolineava con insistenza la grande poetessa russa. Un esercito di invisibili, di solitari, di miti e di dannati che probabilmente non potranno ricongiungersi con nessuno, orfani come sono di legami e di ‘affetti stabili’. Ci vorrebbe la veemenza dell’arte dell’esagerazione di un Bernhard per polverizzare questi concetti che non esprimono altro che il vuoto. Da troppo tempo ormai è stata fatta piazza pulita della cosiddetta stabilità, puntando tutto sul suo esatto contrario: la fluidità spacciata per virtuosa ma in realtà diabolica flessibilità, nullaggine: flessibilità del lavoro (leggasi precariato) e flessibilità delle relazioni, amore fluido, liquido (leggasi precariato dell’amore; non a caso il sottotitolo del libro Amore liquido di Zygmut Bauman è: sulla fragilità dei legami affettivi). Questi solitari, questi anacronisti, questi antagonisti autoesiliatisi dalla marcia delle teste «impastate d’ottusità»che continuano imperterrite a impastare torte sull’orlo dell’abisso potranno ancora consolarsi (ego exul exulto…)? Bernhard crede di sì: crede di riuscire a dimostrare «a tutti gli inadeguati che un giorno avranno un piccolo trionfo, un piccolissimo trionfo» e c’è da scommettere che non parlava dei trionfi di maiale sul menu.