L’Arte e il suo destino. Il gigante Pirandello, secondo Lavia, nel suo amletico testamento
@ Anna Di Mauro (17-02-2020)
Catania – Riflessione visionaria sulle sorti dell’Arte, dai forti accenti onirici, condotta su tre percorsi metaforicamente delineati, in cartellone al Teatro Stabile di Catania, con la collaborazione del Teatro Massimo Bellini, l’imponente messa in scena di Gabriele Lavia de “I giganti della montagna” spinge in una direzione fortemente contrassegnata dalla grandiosità e bellezza delle scene, in primis il fantasma del teatro diruto e la pittorica coreografia dei magnifici “fantocci”. La forte presenza di effetti speciali, designati puntualmente e voluti dallo stesso autore, si coglie tra giochi di luce, ombre, accesi cromatismi, potenziati dalle suggestioni del suono. La complessità dell’opera si sviluppa secondo un movimento coreografico di costante ed esasperato disordine e di esuberanze performative del corposo cast, su cui Lavia si incastona con l’asciutta presenza e l’apparente sobrietà dimessa del suo Cotroneo, personaggio emblematico, in palese contrasto con la sua potenza di demiurgo di un’Isola fuori dal tempo e dallo spazio. Abbigliato con un fez turco, a sottolinearne l’estraneità dal mondo borghese, è una sorta di mago, allocato in un’antica villa abitata, si dice, dai fantasmi, prodigi e apparizioni, dove si è ritirato dal mondo con gli Scalognati, uomini e donne che vogliono vivere nella libertà della fantasia, luogo magico in cui alberga “tutto l’infinito che è negli uomini”, tra realtà e sogno in costante interazione. Un giorno approda all’Isola una compagnia errabonda di attori. Sono in cerca di un teatro. Il teatro c’è, o meglio c’era. Rimangono i resti di un fastoso passato che emerge dal buio, spettro e specchio affascinante e inquietante del vero teatro in cui la pièce si svolge. Le suggestioni dell’aldilà a cui Pirandello ha dato un consistente spazio nella sua produzione, echeggiano e risuonano nel racconto di una povera vecchia, la Sgricia, personaggio delicatamente interpretato da Matilde Piana, chiamata a sostituire la compianta Nellina Laganà recentemente scomparsa, che con la sua nera, curva, fragile e claudicante figurina consuma il rito del mondo degli spiriti, caro a Pirandello, con la storia dell’Angelo Centuno, che schiude al mistero il mondo apparentemente garrulo degli Scalognati. Per ultima, grande protagonista e anima della compagnia, arriva su un carretto, degradato carro di Tespi, la seducente attrice Ilse, contessa per avere sposato un conte che la segue ovunque come la sua ombra. Ella è amata follemente da tutti gli uomini che la circondano e nell’opera incarna l’ideale femminino nell’immaginario, restituito dall’incisiva Federica De Martino. La donna si muove scompostamente, portando in giro barcollante il suo bel corpo, le sue fulve chiome, il suo malessere. Vuole rappresentare “La favola del figlio cambiato” con la sua compagnia di artisti sbandati. Cotroneo le offre riparo e protezione nella sua villa, ma la contessa rifiuta. Vuole un pubblico vero. Allora il mago le propone di esibirsi davanti ai potenti giganti della montagna, signori intenti ad opere grandiose, indifferenti all’arte. Con il bellicoso rombo assordante dell’arrivo dei Giganti si chiude questa metafora straordinaria. Compendio della produzione pirandelliana, fortemente discussa, l’opera, a detta dei critici sembra voler comunicare che l’arte può sopravvivere, a patto che si sottragga al mondo materiale, diventando pura esperienza virtuale. Iniziata nel ’31 con il primo atto, proseguita nel ’34 con il secondo atto e rimasta incompiuta per la sopraggiunta morte dell’autore nel 1936, o forse per precisa intenzione dell’autore è lasciata opportunamente aperta da Lavia, che sceglie il fascino del testo incompiuto esistente, piuttosto che la conclusione stilata per sommi capi dal figlio del Kaos insieme al figlio Stefano sul letto di morte. L’ultimo dramma di Pirandello porta i segni del travaglio dell’Arte in un mondo sempre più tecnologico, sublimati da un registro dove la fantasia metamorfica spadroneggia incontrastata, sulle ali di un metateatro ricco di autocitazioni. “I giganti della montagna” nella versione di Lavia, vagamente ispirata alla regia di Giorgio Strehler, offre la ricchezza visionaria dell’Arte e del suo destino aperto ritraendo fedelmente la drammaturgia originaria, ma con grande libertà inventiva, dietro le orme dello straordinario percorso di un autore che ha fortemente connotato il Teatro del ‘900. Unico appunto: purtroppo le dimensioni del Teatro lirico Bellini, pur esaltando con la loro bellezza architettonica la mise en scène, hanno in alcune parti corali compromesso la comprensione del testo, penalizzato da un’acustica non esattamente ad hoc.
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
Di Luigi Pirandello
Regia di Gabriele Lavia
Con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni de Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro. Matilde Piana, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini. Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia.
Scene Alessandro Camera
Costumi Andrea Viotti
Musiche Antonio Di Pofi
Luci Michelangelo Vitullo
Maschere Elena Bianchi
Coreografie Adriana Borriello
Regista assistente Francesco Sala
Assistenti alla regia Bruno Maurizio Prestigio, Lorenzo Volpe – iNuovi
Produzione Fondazione Teatro della Toscana
AL TEATRO MASSIMO BELLINI di Catania