L’intramontabile fascino di un classico: Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni
@ Amelia Natalia Bulboaca (10-02-2020)
Milano, Teatro Elfo Puccini – Rappresentata per la prima volta a Milano e a Venezia nel 1746 (e scritta interamente solo nel 1753), Il Servitore di due padroni, è un’opera importante, frutto dell’azione innovatrice di Carlo Goldoni nell’ambito della Commedia dell’Arte. I personaggi goldoniani cominciano a distaccarsi dalle maschere tradizionali (Arlecchino/Truffaldino) per diventare sempre più umani, ragionevoli e realistici. In questo solco di credibilità si pone anche il disegno registico di Valerio Binasco, che del grande classico del poeta veneziano offre un allestimento moderno, vivo e giocoso. L’impresa riesce anche grazie al cast affiatatissimo, capace di trascinare il pubblico per quasi tre ore di spettacolo attraverso gli esilaranti equivoci disseminati con disarmante semplicità da Arlecchino (un grandissimo Natalino Balasso), ma anche di farlo riflettere su temi più gravi come la posizione della donna nella società e i rapporti di potere e di dominio all’interno di una gerarchia dei sessi che non sembra molto cambiata rispetto all’affresco sociale goldoniano. A distanza di quasi trecento anni dalle peripezie di Truffaldino, le donne continuano a destreggiarsi in una fitta rete di soffocanti costrizioni e subdole imposizioni, all’insegna di un’illusoria, mai compiuta parità di genere. Tante, tantissime farebbero proprie anche al giorno d’oggi le semplici e struggenti parole di Beatrice Rasponi: «Voglio la mia libertà».
Arlecchino è buffo, maldestro, timido e persino tenero. Qualche volta è «furbo», qualche volta «allocco», ma ciò che importa è che pare sciocco ma non lo è. Sarà la sua stessa, disarmante, candida ingenuità («mi non so far gnente») ad aiutarlo a sbrogliare una matassa di episodi farseschi, dalla comicità irresistibile che non sconfinano mai nella stravaganza o nell’inverosimiglianza. È una comicità che nasce dal gioco del doppio, dell’illusione, dell’apparenza e dall’impacciata astuzia di questo personaggio carnevalesco che ne combina di tutti i colori pur di riuscire nell’ardita e inaudita impresa di servire due padroni allo stesso tempo. Scambia le lettere di Beatrice (arrivata a Venezia da Torino sotto le mentite spoglie del fratello Federigo Rasponi, morto in duello) e del di lei amante, Florindo; le vuole poi risigillare col «pan mastegà» come aveva appreso dalla «me siora nona», straccia la cambiale affidatagli da Beatrice/Federigo per comporre lo schema della tavola imbandita (Arlecchino non è solo un mangione che infila il vorace cucchiaio nelle portate dei padroni: ci tiene all’arte della ‘scalcaria’, la raffinata sapienza della disposizione ordinata delle pietanze in tavola), confonde i bauli con i vestiti dei due padroni, costruisce un tortuoso percorso di scuse improbabili per tirarsi d’impaccio («digo quel che me vien alla bocca») ma tutto ciò non lo salverà dalla bastonatura.
L’ilarità dei dialoghi e delle scene è irrefrenabile, i rapporti tra i personaggi emergono con grande nitore dall’interpretazione energica ed emozionante degli attori. La levità della risata a tratti lascia spazio anche a istanze più profonde e drammatiche, delle quali si fanno portatrici, come è stato già accennato, le voci femminili: Beatrice, Clarice e Smeraldina. Beatrice (una intensa Elisabetta Mazzullo) sa bene che come donna, pur essendo la legittima erede del fratello scomparso, non riuscirebbe a fare niente, avrebbe solo seccature e le verrebbe imposto un tutore per mandare avanti le faccende. Adottando l’identità del fratello riesce invece a trattare di affari su un piede di parità con Pantalone. Clarice, pronta a far scorrere il proprio sangue per convincere l’irruento fidanzato Silvio della purezza dei suoi sentimenti osserva come la vita sia in fondo parca di godimenti e ricca di pene, mentre la serva Smeraldina la sa lunga sull’infedeltà e l’ipocrisia degli uomini ai quali si passa tutto perché le leggi sono state fatte dagli uomini e non dalle donne.
L’allestimento di questo rimarchevole Arlecchino sta sotto il segno della sobrietà e dell’aderenza al testo goldoniano che non viene stravolto anche se il regista opta per la partitura della commedia all’italiana, rifiutando le tentazioni di un formalismo teatrale fine a se stesso.
ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI
di Carlo Goldoni
regia Valerio Binasco
scene Guido Fiorato, costumi Sandra Cardini
musiche Arturo Annecchino
luci Pasquale Mari
con Natalino Balasso, Fabrizio Contri, Michele Di Mauro, Lucio De Francesco, Denis Fasolo, Elena Gigliotti, Carolina Leporatti, Gianmaria Martini, Elisabetta Mazzullo, Ivan Zerbinati
assistente regia Simone Luglio, assistente scene Anna Varaldo, assistente costumi Chiara Lanzillotta
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale