Oasi shakeasperiana alla Plaka di Atene: Amleto di Katerina Evaggelatu
@ Ludovica Radif (07-02-2020)
Atene – Oasi shakespeariana nel dedalo di via Adrianou, l’Amleto di Katerina Evaggelatou si propone anzitutto come omaggio al padre di lei Spiros, il cui Anfiteatro riapre così temporaneamente i battenti dopo otto anni e riprende quella che ventotto anni fa era stata la sua scena di per un Amleto che tanto indelebilmente l’aveva toccata. In apertura e in chiusura in uno spazio filmico alcuni fotogrammi richiamano quello spettacolo, regalando quindi un duplice sfondo, un rifrangersi diacronico alla trama. A dare l’avvio alla scena non è l’inquieto andirivieni sugli spalti delle sentinelle messe in allarme da misteriose apparizioni notturne, bensì una sorta di flashback della famiglia reale all’indomani dell’assassinio del re: un Amleto malinconico, introverso e maledettamente maldisposto (convincente nel ruolo Odysseas Papaspiliopoulos), che, non potendo condividere le smancerie dei due amanti, mastica in solitudine la sua perplessità. Il suo straniamento esistenziale è la cifra dell’intera rappresentazione, la nuvola grigia che avvelena, uno dopo l’altro, tutti i personaggi: investe e sveste Ofelia (anche troppo: la pazzia la lascia praticamente nuda integrale sul palco), che più volte, sconvolta per il rifiuto di Amleto, si affaccia dubbiosa sulla superficie di un lago in lontananza, per poi scivolare, corpo inerte, dentro al sepolcro. Il fantasma sveste i panni tonacali di bianche lenzuola, manifestandosi invece attraverso intermittenti parti corporee, in una comunicazione mediatica di proiezioni su schermo. La pazzia nera del marcio di Danimarca falcia via, attimo fatale di disattenzione, la vita di Polonio, a cui il protagonista riserva pure parole di riconoscenza, al di là della messinscena di battute macabre sul suo conto. I suoi pensieri, taglienti di rabbia, scardinano pezzo dopo pezzo le fondamenta del palazzo reale: un concetto metaforico reso visivamente tramite il rovesciamento nell’aria delle varie assi del tetto, scoperchiato su un regno sottostante di sonno e di morte. Lì si ambienta la suggestiva scena del teschio di Yorick, che viene rievocato nel suo tipico talento di buffone, semplicemente facendo muovere una mano sotto la dentatura quasi fosse a rianimarsi la loquace lingua di un tempo.
Tutto va crollando, svuotato di senso, di fronte al cruciale perché dell’essere o del non essere: viene in questo caso privilegiata la traduzione di Ghiorgos Cheimonas – erhòtisi: “che uno viva o non viva, questo è l’interrogativo” – rispetto ad altre, quali lo zhitima – “il punto da ricercare” – o la fascinosa e forse ancora più azzeccata resa di un concetto filosofico come aporia in: “situazione priva di sbocchi”. Anche il Castello di Elsinore appare senza uscite e finisce con l’appestare tutti in quel sonno di morte in cui anche il sogno sembra agognare soltanto una vendetta di sangue. Il veleno inoculato nell’orecchio (scena riprodotta dagli attori di un teatrino nel teatro) diventa il distillato della tragedia, concentrato di ambizioni malate in un regno di non senso.
Amleto
di William Shakespeare
regia di Katerina Evaggelatu
Personaggi: Odysseas Papaspiliopoulos (Amleto); Nikos Psarras (Claudio), Anna Mascha (Gertrude), Dhimitris Papanikolau (Polonio), Amalia Ninu (Ofelia), Michalis Michalakidhis (Οrazio), Kyriakos Salis (Laerte), Ghiannis Kotsifas (attore, becchino), Klearchos Papagheorghiu (Rosencrantz), Vassilis Butsikos (Guildenstern). Nel ruolo del fantasma appare in video Ghiannis Fertis.