Churchill senza Storia alla Pergola di Firenze
@ Lucia Tempestini (31-01-2020)
Firenze – Su un poggiòlo delimitato da lampadine proprie delle atmosfere da avanspettacolo, corredato di poltrona bronzea imbottita – in stile vagamente vittoriano –, radio anni ‘30, mappamondo e sipario blu retrostante, un Winston Churchill ormai al tramonto inscena e alimenta da consumato istrione della politica la mitopoiesi che nel corso del tempo si è andata edificando intorno alla sua figura.
Vecchio, avvolto in una vestaglia di velluto rosso, afflitto da infermità d’ogni genere, tenuto in piedi da farmaci, metanfetamine e dagli amati sigari – concessi dal medico per combattere la depressione -, recita le proprie bizze e riottosità davanti a un’infermierina scioccamente idealista, in un contraddittorio troppo costruito e in definitiva superfluo che di fatto indebolisce il testo, già minato dal catalogo iniziale di frasi esemplari decontestualizzate, cui solo il virtuosismo di Battiston impedisce di far precipitare la rappresentazione nel puro cabaret.
Fra rantoli, mugugni e intemperanze misogine la memoria volontaria viene meno, lasciando lo spazio ai lampi emotivi e al dolore. Winston che dipinge per tenere sotto controllo l’angoscia dopo il massacro di Gallipoli, perseguitato dai fantasmi dei 43.000 giovani uccisi, Winston che si avventa sulla macabra ridicolaggine dei gerarchi hitleriani, Winston che si sente l’unico sopravvissuto di un mondo scomparso (morta la Regina Vittoria, morto Re Giorgio), Winston che ricorda il suicidio della figlia Diana e la carriera di attrice dell’altra figlia Sarah – nelle tonalità sempre più basse della voce Battiston trova l’ansia goffa e orgogliosa di un padre che umilmente desidera ammirare Sarah sul palcoscenico, precedendone le battute dalla platea. Nel diario intimo frantumato e ondivago di Churchill, in cui la Storia finisce per occupare un posto marginale, ricopre un ruolo da protagonista il gatto Joke, compagno di vita degli ultimi due anni dello statista. Un piccolo Buddha rossiccio simbolo di serenità imperturbabile.
La presenza di Joke attenua la latente paura della morte, come la esorcizza l’incessante declamazione delle infinite varianti letterarie e teatrali del momento fatale. Churchill, simile a un Edmund Kean all’apogeo del narcisismo, assume l’identità di Macbeth che ha ucciso il sonno, di Orson Welles morente nell’Infernale Quinlan, della malvagia Strega dell’Est di Baum, fino a concludere il (quasi) monologo di spalle, dentro volute di fumo, con indosso il completo grigio della trascorsa vita parlamentare, mentre si alza un rock che non sarebbe mai potuto esistere senza la sua caparbia guerra contro il nazismo.
Giuseppe Battiston
WINSTON VS CHURCHILL
da Churchill, il vizio della democrazia
di Carlo G. Gabardini
e con Lucienne Perreca
scene Nicolas Bovey
costumi Ursula Patzak
luci Andrea Violato
suono e musica Angelo Longo
regia Paola Rota
produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo
foto di scena Noemi Ardesi
durata 1 ora e 15 minuti, atto unico