Il mestiere del critico
IL PAPA DELL’ALTRO MONDO
“Chiamatemi Francesco”, un film di Daniele Luchetti
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Quando, il 13 marzo 2013, Jorge Bergoglio fu proclamato Papa col nome di Francesco, tra le poche, semplici parole che egli pronunciò ancora esitante, ma sorridente vi fu quella asserzione singolare che diceva come il Sacro Collegio del Conclave fosse giunto alla scelta del suo nome, pur risultando egli stesso proveniente dalla “fine del mondo”, se non proprio dall’altro mondo, quello delle folle disperate, povere dell’America Latina e in inspecie dalle favelas dell’Argentina.
Non fu, quella, un’asserzione casuale, poiché in effetti Bergoglio, nella sua tribolata storia personale, aveva sin dagli inizi del suo magistero sacerdotale trovato da affrontare questioni, problemi di ardua complessità. Giovane prete e poi via via gesuita di prestigioso ruolo – fu padre provinciale nella sterminata diocesi di Buenos Aires – incappò proprio nel periodo più cruento e criminale della dittatura di Videla, cui fece fronte in parte con strenue risorse diplomatiche, in parte con l’aiuto anche rischioso dei molti giovani oppositori del regime militare e perciò stesso perseguitati, torturati, uccisi con bieca determinazione.
Tutto ciò è il background che il cineasta Daniele Luchetti e il produttore Pietro Valsecchi hanno strutturato con sobria linearità per dare conto della vicenda soprattutto esistenziale – niente agiografia, niente apologia né tantomeno accenti celebrativi – di Jorge Bergoglio che da giovane argentino (di famiglia italiana) intento ad una condotta di vita normale fu chiamato da una insopprimibile vocazione al sacerdozio e, in seguito, alla carriera ecclesiastica: prima come padre provinciale dei gesuiti del suo Paese, poi vescovo ausiliare e infine cardinale, anche se queste tappe furono contrassegnate costantemente da un aspro confronto-scontro con la repressione brutale delle gerarchie militari.
Da tali scorci biografici e dagli eventi tragici ad essi connessi esce, così, un film di austera fattura che ripercorre passo passo le scatenate gesta repressive (i rapimenti, gli assassini, persino lo scaraventare in mare ancora vivi i malcapitati oppositori) volute dai generali “felloni” (nella guerra delle Malvinas diedero ampia prova della loro viltà). Il tutto raccontato con decontratta semplicità, giusto per dare di Bergoglio un ritratto insieme veritiero e serenamente circostanziato. È questo, in effetti, l’esito migliore di un tale film, dal momento che preoccupazione di Daniele Luchetti è stata, in primo luogo, evocare fatti, situazioni, personaggi che nella loro essenziale realtà dessero un quadro esauriente, efficace di tanto uomo e di simile sacerdote.
Interrogato sulla lunga gestazione di Chiamatemi Francesco, lo stesso cineasta, chiarendo altresì le possibili fonti del lavoro preparatorio, ebbe a spiegare con chiarezza: “Ho letto pochi libri al riguardo di Bergoglio, mentre invece ho realizzato molte indagini dirette. Per me, la vera svolta sulla comprensione del personaggio l’ho avuta quando ho visto le testimonianze che Bergoglio ha fornito durante alcuni processi sulla dittatura argentina: lì finalmente mi è tornato tutto. Ho capito cosa e chi dovevo raccontare dopo averlo visto in faccia a quel tempo, quando ancora era semplicemente un vescovo argentino”. E, ancora più – diremmo noi – , constatando come nel suo magistero pastorale abbia assunto sempre, contro le tendenze retrive di certi prelati argentini collusi con militari dispotici, una posizione di equilibrio, di tolleranza anche rispetto alla contrastata “teologia della liberazione”.
Da sottolineare in questo solido ritratto psicologico e umano la caratterizzazione austera, funzionale tanto del noto attore argentino Rodrigo de la Serna (il giovane Bergoglio) quanto dell’esperto interprete cileno Sergio Hernandez (nei panni del Bergoglio d’oggi): davvero un Papa d’un altro mondo.