Angolazioni Cinema
IL VETRO ROTTO DEL PRESUNTO INNOCENTE
di Danilo Amione
note su “Hammamet, di Gianni Amelio, Ita, 2020.
Con Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Renato Carpinteri, Omero Antonutti, Luca Filippi, Giuseppe Cederna, Claudia Gerini.
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Più che per il film, dispiace per Gianni Amelio. Davvero non ci si capacita di come un regista, un artista della sua sensibilità ed intelligenza si sia potuto intrappolare dentro i più vieti e pericolosi luoghi comuni della tragica vicenda di Bettino Craxi e della Prima Repubblica. Quale idea dello Stato potrà farsi un qualsiasi cittadino che entri in un cinema a guardare questo film che racconta delle presunte trame di un potere dello Stato, la magistratura, contro un altro potere, quello politico, basando questa narrazione sul niente? Che semina dubbi gratuiti su chi si occupa (o dovrebbe)- come la Costituzione chiede- di equilibrare gli altri poteri statali, dai quali è a sua volta equilibrato. Principio della separazione dei poteri, così si chiama, che è alla base di ogni Stato democratico.
Altrettanto grave, soprattutto ai nostri giorni ricchi di un pericoloso populismo, è descrivere la dignità di un politico attraverso il “lo facevano tutti, rubavano tutti, perché non dovevo farlo io!”. E men che meno vale la giustificazione che la politica o anche la democrazia costano.Ammesso che la corruzione fosse stata finalizzata, ossimoricamente, solo a questo nobile scopo, c’erano comunque delle leggi da rispettare e fare rispettare. E la magistratura le ha fatte rispettare! Perché il PCI non pagò, ci si chiede anche giustamente nel film? Benissimo. Al di là delle decisioni della magistratura oramai definitive (con relativo rispetto costituzionale verso le stesse), se è il caso si riaprano, laddove possibile, i processi, o si rilegga finanche la Storia. Ma ciò non può essere addotto a giustificazione di illeciti reiterati negli anni ed elevati a sistema (come sancito dalle condanne passate in giudicato, se vogliamo stare ancora dentro la civiltà giuridica…).
Il film salva il protagonista da ogni responsabilità, attribuendogli come unica colpa quella di essere “antipatico”. Puzza di facile, di furbesco. In più, Amelio arriva ad affiancare a Craxi personaggi politici spregevoli vagamente reali, al cui confronto il leaderbrilla e sono da lui disprezzati perché profittatori del suo potere. Come dire, vedete di cosa era costretto a circondarsi il nostro! Quasi se li fosse trovati accanto solo per caso e non perché da lui scelti come adatti alla sua politica e ai suoi giochi di potere. E poi viene da chiedersi, perché dovremmo comprendere Craxi che rivela solo davanti alla piccola cinepresa di un giovane visitatore i misfatti di cui il nostro paese si era macchiato? Con il relativo nastro fatto volteggiare nel finale come un’arma da vendetta e da giustizia assoluta insieme.
Perché il Presidente socialista non ha denunciato tutto prima, come legge e morale di chi ha giurato fedeltà al suo Paese imporrebbero? Per non dire del finale, da vero delirio agiografico, che vede il piccolo Craxi infrangere simbolicamente un vetro con una fionda, a squarciare ogni ipocrisia come soltanto un bambino innocente può fare. In sostanza, la Storia sovvertita anche metaforicamente, riscritta senza neanche avere le prove, o meglio i documenti, di ciò che si afferma.
Certamente, c’è il lato umano di Craxi e della sua famiglia. Ma qui l’operazione riabilitazione si innalza all’ennesima potenza. Ogni situazione intima e personale dell’ex segretario socialista sembra descritta per essere finalizzata a ulteriormente giustificarlo. Il film è talmente propagandistico e di parte che sembra persino utilizzare i momenti più emotivamente toccanti per portarsi il pubblico dalla sua parte dal punto di vista politico. Il Craxi giustamente amorevole con il nipotino, generoso con i tunisini bisognosi, innamorato disilluso della giovane amante, affettuoso con il figlio del compagno di partito suicida, solidale economicamente con i fuoriusciti dalle dittature, ironico con quei “bulgari” dei comunisti (atteggiamento sicuramente ancora più prensile verso il pubblico contemporaneo…).O addirittura esaltante il popolo e la classe lavoratrice in un davvero inedito testamento ideologico dettato alla figlia, sicuramente lontano dalle sue scelte politiche a tutti ben note.
D’altra parte, è proprio il biopic come genere ad essere molto pericoloso se non opportunamente trattato. Chiunque, se reso oggetto di narrazione, acquisisce simpatie dagli spettatori, che non potranno, ad esempio, non commuoversi davanti ad una scena che lo veda protagonista di un’effusione con un congiunto. E questo, scusando le iperboli solo esemplificative, vale per Hitler come per Cristo.E’ l’abbiccì della comunicazione visiva, facilmente manipolabile.
Spiace davvero per Gianni Amelio, altrove autore sensibile e fortemente civile (vedi capolavori come “La fine del gioco”, “Il piccolo Archimede”, “Porte aperte”, “Il ladro di bambini”). Realizzato da altri questo film, mediocre ed inquietante insieme, non avrebbe fatto discutere più di tanto. Pensato e realizzato dall’autore di “Colpire al cuore” e “Lamerica”, sconvolge…