L’inverno di Pollicino al Teatro Elfo Puccini di Milano
@ Amelia Natalia Bulboaca (02-01-2020)
«Nessuno sa esattamente dove vanno i personaggi delle fiabe, quando le fiabe finiscono»
Milano – Il Pollicino di Giacomo Ferraù e Giulia Viana (produzione Eco di fondo con la collaborazione di Campo Teatrale) andato in scena all’Elfo Puccini non è esattamente quel Pollicino dell’omonima fiaba che tutti i bambini conoscono. O meglio, è lui ma il racconto è stato completamente riscritto perché Pollicino ora è un simpatico e loquacissimo vegliardo che ogni anno, invecchiando, rimpicciolisce un po’ di più, ha problemi di memoria e fa fatica a trovare la strada di casa.
Ci sono nuovi personaggi creati a supporto di questa nuova linea narrativa: il boscaiolo, gigante buono, figlio di Pollicino, la moglie di lui, Principessa e Ciop, il linguacciuto scoiattolo, amico del boscaiolo. Il boscaiolo (Rospino) è un brav’uomo, lavora tanto, forse troppo e non sempre riesce a ritagliarsi dei momenti di relax da passare in compagnia dell’amata moglie. Lei, d’altronde, sembra trascorrere tutta la sua vita al telefono, impartendo consigli un po’ bislacchi ai personaggi delle favole. Una coppia felice ma sull’orlo della crisi, come ce ne sono tante al giorno d’oggi. L’arrivo di Pollicino mette scompiglio nella routine degli sposi ma è fondamentale poiché padre e figlio devono affrontare importanti e delicate questioni che erano rimaste in sospeso. Il figlio porta ancora il peso della ferita di un abbandono: accusa Pollicino di essere stato poco presente durante la sua infanzia. Pollicino rivendica l’auctoritas paterna ma fa fatica ormai a ricordarsi tante cose perché quando si invecchia, la testa diventa più piccola e non ci entrano più i ricordi. D’altronde, con i ricordi sembravano essere andati via anche i giorni felici.
Insomma, questo sequel di Pollicino fa riflettere su tanti temi attuali che spesso decidiamo di eludere, nell’indifferenza di una quotidianità che deve essere a tutti i costi glamorous, che non ha tempo di porsi troppi (scomodi) interrogativi: la vecchiaia e la fragilità della terza età, il complicato rapporto inter-generazionale, l’amore, la solitudine, la morte.
Pollicino, con le sue smemoratezze e i suoi comportamenti irresponsabili, a poco a poco comincia a essere visto dalla nuora come un pericolo per il figlioletto Frugolo (che è anche la voce narrante della storia del nonno) e sarà affidato a una casa per anziani dal nome quanto mai significativo: Dolci tramonti. Questo presunto Eden dotato di tutti i confort moderni (c’è persino il frigobar in camera) si rivela ben presto per quello che è: una specie di prigione sorvegliata da telecamere a circuito chiuso in funzione 24 ore su 24, dove chi non segue alla lettera le regole rischia di incappare nelle procedure correttive di Dottor Orco. Pollicino, come suo solito, cerca di evadere, nella speranza di potere ritrovare la strada di casa seguendo la traccia di medicine. Fallisce ma incontra Pollicina, anche lei ospite della casa di cura. In compagnia della nuova amica se ne andrà via un altro anno ancora, quasi senza accorgersene. I due anziani riscoprono insieme la gioia di vivere, il piacere della condivisione, la levità di una risata capace di lenire la melanconia: «la mia famiglia non ama il mio inverno»: lo sa bene Pollicino, nonostante i vuoti di memoria. Alla fine, Pollicina decide di rimanere nella casa di riposo perché ormai si era affezionata alla routine e alle infermiere mentre lui, l’intrepido nonno Pollicino si dà alla fuga. Smarrite le pillole della memoria – smarrita la strada di casa; fortunatamente viene ritrovato nel bosco dal figlio che prova a consolarlo: «Papà… non ti abbiamo abbandonato, ti ricordi? Ti abbiamo portato in una casa di riposo dove possono avere cura di te».
Lo spettacolo si prefigge uno scopo ambizioso: riscrivere la favola in chiave critica per avvicinare un giovane pubblico (dai 6-7 anni in su) al tema della terza età, facendo nel contempo riflettere anche un pubblico adulto su argomenti, a ben vedere, dolorosi e complicati. In tempi che sembrano promuovere il mito dell’eterna giovinezza, dell’egoismo narcisistico e dell’assenza di qualsiasi istanza di responsabilità morale e affettiva verso gli altri, come comportarsi quando si diventa ‘genitori dei propri genitori’? Come prendersene cura quando la condizione di figli sembra essersi dilatata indefinitamente tanto che si fa fatica a diventare persino genitori dei propri figli?
La performance riesce a mantenere fino alla fine un delicato equilibrio tra istanze leggere, perfettamente adatte a un giovane pubblico (le birbanterie di Ciop e nonno Pollicino che tenta una rocambolesca evasione sulle note di Mission Impossible scatenano le risate incontenibili dei bambini) e istanze più drammatiche, rivolte a un pubblico più maturo. Forse è proprio la generazione di mezzo (che vive una lacerazione ormai inconfutabile tra genitorialità e filiazione) il target ideale di questo difficile Pollicino. Interessante anche l’impianto scenografico, con la proiezione video ingigantita degli altri personaggi per creare l’illusione della piccola statura di Pollicino.
POLLICINO
di Giacomo Ferraù e Giulia Viana
regia Giacomo Ferraù
scene Giuliano Almerighi, Luca Negri, Lucia Rho
costumi Sara Marcucci – WeWeWardrobe
luci Giuliano Almerighi
con Andrea Pinna, Libero Stelluti, Giulia Viana
con l’amichevole partecipazione video di Valentina Scuderi e Chiara Stoppa
e di Vittoria e Duong che prestano voce e corpo a Frugolo
assistente alla regia Dario Muratore
produzione Eco di fondo con la collaborazione di Campo Teatrale
consigliato dai 6 anni
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NOTE di REGIA
Pollicino nasce dal nostro desiderio di avvicinare il giovane pubblico al tema della terza età, per tentare di rompere quel meccanismo naturale per cui un bambino ‘non diventerà mai vecchio, solo più grande’. Abbiamo inoltre un altro obiettivo: fare in modo che la forma e i contenuti dello spettacolo possano abbracciare anche un pubblico di adulti, per confrontarci e interrogarci con loro circa un altro frequentissimo tema dell’essere umano, ovvero diventare ‘genitori dei propri genitori’. Per il boscaiolo soprattutto, vivere sotto lo stesso tetto con lo scorbutico ed ormai anziano papà Pollicino sarà occasione di scontro, ma anche successivamente di riappacificazione, rielaborazione del proprio passato e del travagliato rapporto con il padre. Lo spettacolo racconta con i toni spesso leggeri e divertenti, talvolta scuri e melanconici di una fiaba, temi attuali legati all’anzianità: la perdita della memoria a breve termine, i dubbi dei figli sulla scelta di accompagnare i propri genitori in una casa di riposo, l’amore nella terza età, la vicinanza tra senilità e prima infanzia, gli acciacchi e le malattie, l’avvicinarsi della fine e la consapevolezza di questo appuntamento. La narrazione avviene attraverso gli occhi di Frugolo, il nipote di nonno Pollicino, che, scrivendo un tema che ha per titolo ‘Racconta una fiaba che abbia per protagonista una persona a te cara’, sceglie di parlare di suo nonno, di come lo ricorda e delle sue avventure da quando ha iniziato a rimpicciolire, di quello che gli ha insegnato, dei suoi viaggi, dei suoi difetti e della sua tenerezza. Racconta anche come, un giorno, nonno Pollicino sia diventato talmente piccolo da scomparire; come, da allora, il boscaiolo non abbia più potuto vedere suo papà Pollicino, perché è diventato troppo piccolo; come anche Pollicino, probabilmente, non possa più vedere il figlio perché troppo grande per lui… …e anche come, nonostante questo, non smetteranno mai di esserci, l’uno per l’altro. [/box]