Quando il cinema può cancellare la fiaba. ‘Pinocchio’ di Matteo Garrone
@ Loredana Pitino (30-12-2019)
“C’era una volta un pezzo di legno”.
Così inizia la più bella e conosciuta delle favole italiane, nata dal romanzo, pubblicato a puntate, di Carlo Lorenzini, detto Collodi, in una Italia che si era appena formata e aveva bisogno di fondare una sua etica riconosciuta e un immaginario comune, Le avventure di Pinocchio.
Le avventure del burattino di legno ribelle e bugiardo che sfida le leggi degli adulti con la sua ingenuità e fantasia, la curiosità (Collodi aveva imparato la lezione di Apuleio e il suo Lucio asino) e la purezza di chi non conosce il male e non può coglierlo.
L’universalità dei motivi narrativi inseriti da Collodi nel romanzo è stata colta da illustratori, fumettisti e registi che, nel tempo, hanno voluto rileggere e riproporre la vicenda esemplare del burattino di legno. Generazioni di bambini hanno amato il Pinocchio della Disney e l’Italia dei primi anni Settanta aspettava le puntate serali del bellissimo Pinocchio di Comencini, lo sceneggiato televisivo che portava dentro le case degli italiani di allora, in un paese in crisi (era il 1972) economica e politica, momenti di sogno e poesia che parlavano al cuore e alle menti.
Quasi vent’anni fa Roberto Benigni, come regista e interprete, portò sul grande schermo Pinocchio. Ne diede una lettura nuova, originale, che esaltava le virtù del burattino e non i vizi, che svelava la natura non ribelle ma anticonformista e vitale, fuori dalle convenzioni del burattino che, già da tocco di legno, dimostra di avere una personalità unica; era, appunto il Pinocchio di Benigni.
Nel 2019 Matteo Garrone ha voluto, ancora, raccontare questa storia. Matteo Garrone si era già cimentato con la fiaba, con le fiabe, Le Fiabe della tradizione italiana, quelle che hanno ispirato i fratelli Grimm e Perrault, Lu cuntu de li cunti di Giovan Battista Basile e aveva diretto il suo Racconto dei racconti. Ne aveva dato un’interpretazione ricca di spunti, aveva scelto gli episodi più significativi (La scorticata, col suo carico di attualità) e li aveva inseriti in una cornice narrativa univoca, che li legava e ne garantiva stupore e meraviglia, come da volontà del Basile, autore barocco, ma anche riflessione morale.
Stavolta, Garrone ha perso un’occasione. La favola era ancora lì per essere attuale e parlare al pubblico moderno, alle giovani generazioni di oggi, ma è rimasta in superficie.
Il film nasce da una co-produzione internazionale (Italia, Francia. Inghilterra), è costato 11 milioni di euro, si è avvalso di tutti gli strumenti della tecnologia più avanzata, ma non è partito (e non è arrivato) da una visione di insieme. Frammenti di narrazione, senza quel collante morale che dovrebbe legare e motivare le azioni e i personaggi. Un vulnus evidente ha colpito il film: la sceneggiatura, frutto di una collaborazione fra lo stesso Garrone (che pure era stato così accurato nello scrivere Dogman) e di Massimo Ceccherini. Bravo Ceccherini nell’interpretare la volpe, in coppia con Rocco Papaleo – un gatto che non esce dallo stereotipo dell’attore – ma cimentarsi nella sceneggiatura richiede ben altre competenze, non è sufficiente appartenere alla stessa terra di Collodi (qualche battuta davvero fuori luogo, come la riflessione del tonno che preferisce morire sott’acqua piuttosto “che sott’olio”).
Il risultato è una sequenza di frammenti con bellissime immagini e colori, frutto di ambientazioni in Puglia e in Toscana, di una fotografia immaginifica (Nicolaj Bruel), di un trucco perfetto e innovativo di Mark Coulier – Pinocchio e i burattini hanno volti lignei e sguardi umani -, con bellissimi momenti di interpretazione, una su tutte Gigi Proietti nei panni di Mangiafuoco, ma il film è didascalico e senza messaggio.
Non è chiara, al di là della battuta scontata sugli innocenti, la figura del giudice, né quella di Lucignolo, personaggio chiave del romanzo e qui ridotta a un passaggio: completamente saltati alcuni episodi, del resto anche così il film è abbastanza lungo.
Appena accennata la colonna sonora, di Dario Marianelli, che fa il verso a Nicola Piovani (del Pinocchio di Benigni) e sembra addirittura citare Bennato del Burattino senza fili.
Benigni, a vent’anni di distanza, è passato dal ruolo di Pinocchio a quello di Geppetto; è entrato bene nel personaggio, ne rivela tutta la fragilità, la solitudine, la miseria; nella prima scena è tornato quel grande attore de La vita è bella.
L’interpretazione del piccolo Federico Ielapi risulta fredda, distante; forse anche perché hanno creato per lui un linguaggio forzatamente moderno e anacronistico rispetto alla storia.
Esteticamente un bel film, senza storia però; una fiaba senza fiaba.
PINOCCHIO
Regia Matteo Garrone
Sceneggiatura Matteo Garrone e Massimo Ceccherini
Fotografia Nicolaj Bruel
Costumi Massimo Cantini Parrini
Trucco Mark Coulier
Interpreti:
Pinocchio Federico Ielapi
Geppetto Roberto Benigni
Gatto Rocco Papaleo
Volpe Massimo Ceccherini
Mangiafuoco Gigi Proietti
Fata Turchina Marine Vacth
Lumaca Maria Pia Timo
Tonno Maurizio Lombardi