Struggimento senza redenzione. ‘Studio per contrabbasso’ di Giuseppe Sangiorgi da Patrick Süskind

Struggimento senza redenzione. ‘Studio per contrabbasso’ di Giuseppe Sangiorgi da Patrick Süskind ai Cantieri alla Zisa di Palermo, prima nazionale

@ Agata Motta (13-12-2019)

Palermo – Una bella sfida artistica quella proposta in prima nazionale allo Spazio Franco dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, nell’ambito del progetto Scena Nostra, da Giuseppe Sangiorgi, regista e interprete di Studio per contrabbasso, rilettura del monologo dello scrittore tedesco Patrick Suskind, assurto alla celebrità nella metà degli anni ’80 con il romanzo bestseller Profumo.

Lui e L’Altro si fronteggiano sulla scena. L’artista e l’uomo, distanti ma non troppo, accomunati da rabbia inesplosa e frustrazioni serpeggianti. Lo strumento, grosso, ingombrante, disarmonico nelle forme da vecchia signora, è il mostruoso trait d’union tra le parti sdoppiate di una personalità dolente che fa dell’amara autoironia un mezzo di sopravvivenza, una zattera malsicura sul mare piatto di un’esistenza vissuta all’insegna dello spreco affettivo e del livore per i grandi geni del passato che l’uomo è costretto ad omaggiare con la sua musica.

L’artista è interpretato dal musicista Damiano D’Amico, primo contrabbasso della Foss (Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana), che ha curato la partitura sonora dello spettacolo e che si presta sornione e complice al gioco scenico, l’uomo da Giuseppe Sangiorgi che porge il suo flusso di coscienza ad un interlocutore occulto, in una lucida confessione che scava all’origine del malessere interiore e mette a nudo i meccanismi che lo hanno condotto ad una precoce senilità non confortata dall’amore e dal successo. Tutto ruota intorno allo strumento, vero e proprio perno esistenziale e generatore di una catastrofe morale irreversibile, del quale inizialmente si certifica il ruolo essenziale nell’ambito di un’orchestra per poi svelarne pian piano la natura esigente e l’atrocità del suono, quindi l’argomentata impalcatura teorica che ne dovrebbe accreditare il valore si rivela improponibile sul piano strettamente pratico-musicale. Suonarlo insomma è un atto di forza – le mani martoriate e callose ne sono placide vittime – che ha poco a che fare con la musica, è un ostacolo più che uno strumento, possiede un’aria idiota e uno sguardo accusatorio che compromettono perfino la spontaneità dell’atto sessuale. Così il pubblico non può esimersi dal partecipare emotivamente al disprezzo manifestato dall’uomo, ma contemporaneamente deve ammettere che il gioco musicale proposto dall’artista (sul quale sarebbe piaciuto un maggiore indugio) confuta le parole dettate dall’esasperazione.

La regia di Sangiorgi è pulita, matura e accurata, ricca di risorse inventive nel trasformare gli scarni arredi di scena in rappresentazioni narrative pregne di rimandi simbolici più o meno scoperti. Le tante bottiglie di birra vuote, rovesciate sul palco come onde che lambiscono i pensieri e alimentano le recriminazioni del protagonista, perseguitato da un bisogno compulsivo di reidratazione, si trasformano nell’unica, fida compagnia pronta a spezzare una solitudine affollata di sogni in cui si agitano le illusioni perdute, racchiuse nel guscio protettivo di un piccolo appartamento completamente insonorizzato che isola dal mondo esterno lacerato dal rumore assordante di prodigi edilizi in fieri. Le stesse bottiglie divengono anche figure indifferenti di una gerarchia orchestrale che inevitabilmente rimanda alla rappresentazione della società umana e alla dicotomica partizione tra sconfitti e vincitori di matrice schopenhaueriana filtrata attraverso Svevo e tutto il filone dell’inettitudine mitteleuropea. Il nostro affranto quarantenne però sa di non poter aspirare ad un’ascesa che lo riscatterebbe agli occhi del mondo e della fanciulla vanamente amata, sa che nell’orchestra il contrabbassista di fila (la terza per la precisione) è destinato sempre e comunque all’anonimato, più dell’insulso timpano che almeno gode del privilegio di essere piazzato più in alto e quindi di una visibilità a lui ineluttabilmente negata. E quindi giù tutte assieme le maledette bottiglie, in un effetto domino calibrato e di forte impatto visivo. Funzione analoga a quella delle bottiglie, cioè di oggetti vivi e funzionali al monologo, è affidata alla mastodontica custodia del contrabbasso, prima depositaria dell’impulso omicida (di questo si tratta considerata la vera e propria personificazione dell’odiato strumento) e poi di quello erotico.

Ogni gesto, ogni ammiccamento della maschera facciale dell’interprete è studiato nei minimi dettagli, ogni cambio di timbro vocale, ogni passaggio dall’ironia lieve al dramma intimo, ogni nota accennata con voce sottile e morbida testimoniano una duttilità più volte dimostrata in passato e una capacità di immersione che non teme le modulazioni e i cambi di registro. Sangiorgi si appropria del testo attraverso un adattamento intelligente e non riduttivo, lo manipola in modo personale, lo indossa come il frac di scena, elegante testimone di uno struggimento senza redenzione ipotizzabile. Certo, il suo scialbo ometto potrebbe anche fare una pazzia, urlare il nome della donna amata subito prima dell’inizio del prossimo concerto e così sconcertare i presenti e magari conquistare il cuore freddo della giovane e frivola soprano, ma sarebbe davvero la svolta cercata, il passaggio al gradino superiore dell’altrui considerazione? La riflessione resta aperta nel rispetto del testo di Suskind e del pensiero del regista stesso.

Forse la lacerazione è destinata a rimanere insanabile, forse l’atto dissacrante, qualora effettuato, non produrrebbe i risultati attesi, forse siamo fatti proprio così, tutti, in quanto esseri umani, perennemente dilaniati da aspirazioni troppo alte e strattonati da impulsi opposti e contraddittori. E forse è proprio in questo che andrebbe cercata la grandezza, nell’incessante tentativo di mediazione, nella percezione dell’insuccesso e nella conseguente capacità di ripartenza, nel tentativo di conquistare quella porzione di bellezza comunque concessa, se si è in grado di comprenderla e di trattenerla.

Il prossimo appuntamento con Scena Nostra è per i prossimi 20 e 21 dicembre con Volver scritto e diretto da Giuseppe Provinzano.

STUDIO PER CONTRABBASSO

regia e adattamento di Giuseppe Sangiorgi

drammaturgia musicale di Damiano D’Amico
in scena Giuseppe Sangiorgi e Damiano D’Amico

produzione Compagnia Massimo Verdastro