Polanski e l’origine del male. Note critiche su “L’ufficiale e la spia”

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POLANSKI E L’ORIGINE DEL MALE

“L’ufficiale la spia”, di Roman Polanski. Prod Fra-Ita, 2019.

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Attraverso la vicenda di Alfred Dreyfus, l’ufficiale ebreo dell’esercito francese accusato, ingiustamente, di alto tradimento e per questo incarcerato, e del suo collega Georges Picquard, che si battè per la sua liberazione, insieme allo scrittore Emile Zola, autore del celebre “J’accuse” che dà il bel titolo originale al film, Polanski racconta, con un disincanto illuminato, i limiti e le contraddizioni della natura umana, capace di battersi per gli ideali più alti e cedevole dinnanzi ai pregiudizi atavici, prodotto di una subcultura che riesce, comunque, a giustificare tutto. Per la prima volta il grande regista di origine polacca affronta il dramma dell’antisemitismo (il suo celebre “Il pianista”, 2002, è tutt’altra storia) che gli ha segnato l’esistenza, e lo fa nell’unica maniera possibile, una narrazione fredda e distaccata, figlia solo della logica.

Quando, alla fine del racconto, Dreyfus, liberato dalla cella dell’Isola del Diavolo, una della tante “gabbie” polanskiane, ed ottenuta la reintegrazione nell’esercito, chiede proprio a Picquard il perchè della sua promozione mancata in quanto ebreo, questi gli risponde che non sarà possibile ottenerla. Picquard non rinnegherà così ciò che egli aveva fatto a favore del suo commilitone ma andrà ben oltre, negherà al compagno d’armi la dignità di persona, lui che gli aveva difeso, significativamente e anche a costo del carcere, quella di militare. Una divisa, la patria e l’esercito più importanti delle ragioni di un uomo…

Questo era l’unico modo con cui Polanski poteva raccontare al meglio una delle tante origini di quell’odio che gli ha regalato un’infanzia d’inferno nel ghetto di Cracovia, bambino braccato come un topo dai nazisti e con i genitori deportati nei campi di concentramento. Niente sentimento, oramai annientato, solo freddezza, quella della ragione.

Polanski parte dalla Storia per arrivare ad una non storia, metafora della condizione umana in balia di se stessa. Non esiste più una narrazione, solo la constatazione di un fallimento. Il film risulta, allora, anche freddo, proprio perché non possono esistere più trame.L’essere umano non può avere trame, deve solo constatare ciò che avviene, freddamente, appunto. La realtà costringe il cinema anche a non essere “bello”. Basta esserne consapevoli…e Polanski lo è.