Un acquitrino dove affondare. ‘Che fine ha fatto quella piccola stella?’ di Simona Almerini al Teatro di Cestello di Firenze
@ Mattia Aloi (02-12-2019)
Firenze – Le persone con cui finiamo per farci più male, o dalle quali lo subiamo, sono quelle più vicine a noi; si potrebbe porre come postulato al dilemma del porcospino di Schopenhauer. Sorelle e fratelli sono quanto di più vicino a noi stessi possa esistere nell’Altro: oltre a tratti somatici e “sangue” condividono una infinità di vissuti ed esperienze. Essendo così prossimi è logico provare per essi un affetto senza pari oppure, per contro, un odio profondo quanto quello che possiamo provare per noi stessi. Simona Almerini strappa dalle nebbie del tempo questo conflitto evocato dal romanzo di Henry Farrell What Ever Happened to Baby Jane? e lo trasporta fino a noi, contestualizzando il suo adattamento in Italia, negli anni novanta e proponendo una vicenda tutta al femminile con l’eliminazione del personaggio del pianista. Stella da bambina ha ottenuto come cantante un successo tanto grande quanto fatuo, diventando in fretta quella che si definisce una “meteora”, mentre la sorella Ginevra è finita sotto le luci della ribalta più tardi, riuscendo però a raggiungere una fama meritata e duratura. Molti anni dopo le due sorelle si ritrovano a vivere una convivenza forzata; Ginevra è costretta su una sedia a rotelle da un tragico incidente mentre la sorella stella è un’alcolizzata dalle tendenze psicotiche e sadiche. Alle due si aggiunge la cameriera, la quale parteggia per Ginevra e tenterà di aiutarla a uscire dal vortice di brutalità che la sorella ha in serbo per lei.
La scena è divisa in due: sulla parte sinistra il soggiorno con tanto di pianoforte descrive una casa alto borghese, nella parte destra, sopraelevata e separata dall’altra per mezzo di una porta e un gradino, vediamo la camera di Ginevra, delimitata da fili di nylon che vanno a comporre una gabbia, metafora della prigionia alla quale è costretta dalla menomazione. Non potersi muovere autonomamente e doversi affidare ad un altro è di per se estenuante, come lo è di contro doversi prendere cura di una persona che si detesta ma verso la quale si prova un senso di colpa. Cristina Bacci (Stella) rende bene il germinare della follia nel cuore di una donna che vive nell’ombra della sorella ed è convinta che questa le abbia rubato la carriera; la sua interpretazione gestisce bene il personaggio, dall’ubriachezza al sadismo fino alla tenera innocenza di una folle omicida, anche se a tratti risulta essere un po’ troppo innaturale, mettendo in ombra le sfumature che potrebbero migliorare il climax della discesa nella dannazione della malattia mentale. Eleonora Cappelletti (Ginevra) offre un’ottima prova attoriale, dando evidenza ai momenti di tensione estrema e riuscendo a incarnare con estremo realismo un personaggio indifeso e remissivo, sino a tenerci tutti col fiato sospeso nella scena in cui tenta di trascinarsi fino al telefono per chiamare aiuto. Bettina Bracciali nel ruolo della cameriera mostra competenza e precisione, tratteggiando una figura per cui parteggiare e alimentando il desiderio dello spettatore di interrompere le torture inflitte da Stella a Ginevra. Lo spettacolo ha un buon ritmo in crescendo, cui gioverebbe la limatura di alcuni tempi morti, e un po’ di spazio in più alle battute connotate da maggiore pathos acuirebbe l’intrigante atmosfera da Grand-Guignol.
Si avverte subito la sensazione che ci sia qualcosa di storto in quello che dovrebbe essere un rapporto di amore fraterno, e che invece si guasta e marcisce sfociando (oppure originandosi?) nella malattia mentale con modalità degne di un horror da grande schermo (per esempio The visit, regia di M. Night Shyamalan). Il legame familiare anziché offrire un porto sicuro si trasforma in un acquitrino dove entrambe le donne affondano, ognuna rivedendo nell’altra i propri insuccessi e le proprie colpe; l’unico orizzonte possibile per loro è l’autodistruzione. Come disse Nietzche, “Se fissi troppo a lungo l’abisso, l’abisso guarderà dentro di te.”