Tebas Land: io non sono io
@ Mattia Aloi (24-10-2019)
Firenze – L’autore raccoglie le persone attorno a sé e promette una cosa: verità. Nella gabbia allestita sul palcoscenico ci sarà un carcerato in carne e ossa, un vero parricida. Tutta una menzogna, una finzione, un’autofinzione per stare alle parole dell’autore di Tebas Land Sergio Blanco. Partiamo dalla storia. Un docente universitario, il dottor S. (alter ego narrativo dello stesso Sergio Blanco), vuole portare in scena la storia di un parricida, e per farlo ottiene i permessi dal ministero e incontra Martino (nome di fantasia che decide di assegnare al ragazzo) in una gabbia come quella in cui i detenuti passano l’ora d’aria e possono giocare a pallacanestro. Dopo poche battute il professor S. chiarisce che quello nella gabbia non è un detenuto ma un attore, Samuele, con il compito di recitare il personaggio di Martino partendo dagli appunti che il professore prende durante i loro incontri. Da qui si snoda la vicenda che fa del metateatro la base su cui poggiare la sua struttura narrativa di false verità e verità falsate, in cui l’autore-demiurgo fa e disfa la storia sotto ai nostri occhi, trasformandola e plasmandola a suo piacimento: un rosario che cambia materiale di volta in volta, le scene riplasmate per apparire più teatrali, una foto fatta passare per una foto di Martino da bambino con il padre che è in realtà una vera foto di Samuele Picchi attore (e non personaggio). La regia di Angelo Savelli trasforma il punto di vista dello spettatore – trasferendo la platea direttamente dietro il palcoscenico, sopra delle gradinate come nei palazzetti dello sport – in modo da creare una situazione più raccolta, avvicinandoci agli attori e permettendoci di godere meglio della splendida interpretazione e di cogliere le sfumature emotive e le confessioni dei personaggi in modo più intimo. Abilissimi Ciro Masella e Samuele Picchi nel dare voce a personaggi così mutevoli e profondi; quando i personaggi parlano fra loro con naturalezza aprendosi e confessandosi il pubblico non potrà che sentirsi quasi di troppo in un momento di così pura intesa. In conclusione la vicenda anzichè parlare della storia del ragazzo parricida parla della sua messa in scena, il dottor S. è prodigo di citazioni e talvolta stravolge le situazioni per apparire ora più ammirevole, ora più detestabile, ad esempio quando arriva a giustificare l’omicida per via del suo vissuto. Questo fa parte di un piano preciso da parte dell’autore per mettere in evidenza le potenzialità del suo stile letterario: l’autofinzione. L’autofinzione è il capovolgimento del patto di verità delle biografie: Blanco instaura con il suo pubblico un patto di menzogna, promettendo che, sebbene sia lui il protagonista della vicenda, in realtà non lo è affatto, come non vere ma plausibili sono le situazioni che crea per noi. Per Blanco il piacere agli altri, il mostrarsi, il trasformarsi è catartico ed è uno strumento politico per riappropriarsi di una identità che la società odierna ci toglie de-soggettivizzandoci, ovvero rendendoci isolati e egolatri, mentre attraverso l’autofinzione si va incontro agli altri cercando se stessi, poichè riconosciamo che non è possibile raccontare del nostro vero io e quindi dovremo per forza parlare di qualcun’altro quando parleremo di noi stessi. Per chiarire mi sento in obbligo di “rubare” la citazione di Jean-Luc Godard che lo stesso Blanco ha inserito nel suo saggio “Autofinzione. L’ingegneria dell’io”: “Per poter parlare degli altri bisogna avere la modestia e l’onestà di parlare di se stessi”.
PUPI E FRESEDDE – TEATRO DI RIFREDI
TEBAS LAND
di Sergio Blanco
traduzione, scene, costumi e regia Angelo Savelli
con Ciro Masella e Samuele Picchi
assistente e figurante Pietro Grossi
luci Henry Banzi
allestimento scena Lorenzo Belli, Amedeo Borelli
esecutore al pianoforte del brano di Mozart Federico Ciompi
foto Marco Borrelli