Script & Books

Sauro BORELLI- Due ‘fratelli di vita’ (“Non essere cativo” di C. Caligari. Mostra di Venezia)

 

 

Da Venezia

 

DUE ‘FRATELLI DI VITA’

Immagine di

“Non essere cattivo” il film postumo di Claudio Caligari (anteprima alla Mostra del Cinema)

****

Pasolini, con il suo Accattone (1961), tracciò, rintracciò, un modo, un mondo che nel chiuso cerchio di un proletariato disarmato e puro disegnava, tra realismo e solidarietà, una condizione umana ai margini dell’esistente, una carenza vitale desolata, contagiosa. Dopo un arco di oltre mezzo secolo, Claudio Caligari – lo scomparso cineasta già discepolo eterodosso del citato Pasolini con due film di personalissimo conio quali Amore tossico, L’odore della notte – ci ha lasciato come estremo viatico del proprio cinema un sintomatico film, Non essere cattivo, che, a conti fatti, compendia, prospetta una versione insieme più complessa ed essenziale dei postumi deficitari della pur scarnificata poetica pasoliniana già emersa dai celebri Ragazzi di vita, e in inspecie, dal menzionato Accattone.

C’è anzi da dire che, Caligari, fino a pochi mesi dalla morte intensamente dedito alla conclusione della sua opera estrema, appunto Non essere cattivo, non riuscì a dare esito compiuto al suo lavoro. Ma, nel caso particolare, l’amico e noto attore Valerio Mastandrea si è dato l’impegno (pienamente riuscito) di completare lo stesso film e, ancora, di portarlo a Venezia 2015, seppur nella sezione non competitiva. La cosa, aldilà di ogni previsione, è andata in porto nel migliore dei modi, tanto che l’impatto delle proiezioni veneziane ha riscosso sia da parte della critica sia dal più vario pubblico di spettatori, un consenso immediato, completo. Un risarcimento, questo, allo scomparso Caligari che (con l’ausilio degli attenti sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini) ha allestito una traccia narrativa lineare, sottilmente penetrante sull’appena schematica vicenda di “due fratelli di vita”, Vittorio e Cesare, che nella desolata plaga della marina di Ostia vivono, sopravvivono tra abietti maneggi, piccole soperchierie, il consumo e lo spaccio di droghe artificiali, di cocaina. Insomma, un’esistenza di frodo, appena temperata da precari affetti: la madre e la nipotina morente di AIDS di Cesare; la ragazza sensata di Vittorio (vanamente determinata a salvarlo con la scelta di un lavoro normale).

Risulta in questo lucido, scorticato rendiconto della quotidianità disperata in cui Cesare e Vittorio, di volta in volta esaltati o oppressi dall’indigenza, dall’irrisolutezza, si fiondano in gesti e azioni dissennati fino a toccare l’acme di una vita presa quasi a prestito e – indubitalmente – destinata a concludersi nell’auto-annientamento puro e semplice.

In Non essere cattivo peraltro non conta certamente il rilievo con cui due individui, due esistenze si mettono in gioco in un azzardo continuo e senza senso; conta piuttosto il modo, la misura con cui Caligari ipotizza, dà corpo alla parabola di piatta disperazione con cui mette in campo l’esemplare “ascesa e caduta” di due tipici abitatori di un “mondo a parte”, quello della Ostia odierna abitata da tragedie e drammatiche farse legate puntualmente all’attuale scontento di vivere e, persino, di morire (la cruenta, tetra fine di Pasolini è stata al proposito significativa).

La forza espressiva, i momenti di acuto significato di Non essere cattivo si condensano così in una rappresentazione di algido e insieme immediato realismo, che giusto per la dedizione di interpreti sapientissimi – Luca Martinelli (Cesare) e Alessandro Borghi (Vittorio) ben attorniati dalle brave Silvia D’amico e Roberta Mattei – e una scansione ritmica pressoché perfetta toccano il vertice di un’opera compiutamente nuova. Toccante, al riguardo, il pensiero col quale la madre di Claudio Caligari ha espresso a Venezia l’indole e la passione del figlio per il cinema, per l’esistenze tutta: “Claudio era molto dolce ma sul lavoro era molto energico. Ha insegnato a me, a tutti noi, e a chiunque lo abbia conosciuto uno stile di vita”.