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Enzo Natta- Da Cannes: l’indefinibilità del ‘bello’ (un saggio di F. Jullien)



Da Cannes


L’INDEFINIBILITA DEL BELLO


Un saggio del filosofo François Jullien

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A chi ha seguìto le cronache di Cannes non sarà sfuggito il diverso rapporto che si è instaurato fra lo schermo e il critico, che del messaggio filmico  si fa mediatore. Un rapporto mutato nel tempo, ma che proprio con l’ultima edizione del festival si è manifestato in tutta la sua intensità.
Una volta il critico manovrava le leve dell’estetica e spiegava al lettore se il film preso in esame obbediva, e in che misura, alle sue categorie. Oggi le cose hanno assunto un diverso aspetto e in “Quella strana idea di bello” (Il Mulino. Bologna, 2012) il filosofo francese François Jullien ha sottolineato come la filosofia occidentale abbia finito per girare a vuoto su sé stessa, in tutto e per tutto simile a un cagnolino che tenta di mordersi la coda. Partendo da quel testo fondativo che è l’Ippia maggiore di Platone e dal problema basilare dell’estetica, François Jullien è arrivato alla conclusione che, pur essendo consapevoli della sua esistenza, ancora non sappiamo definire con esattezza che cosa sia il bello. Lo stesso Hegel (secondo il quale il bello è la manifestazione fenomenica adeguata al concetto, ovvero ciò che realizza nella dimensione esteriore quanto è conforme al contenuto interno) ha finito per celebrarne l’indefinibilità. E allora?

Allora la stessa critica ha capito da un pezzo che servendosi dell’arma spuntata dell’estetica non potrebbe andare da nessuna parte e perciò ha provato a cambiare strada. Lo ha fatto con lo strutturalismo, con la semiologia e le cose non sono andate meglio. Lo ha fatto con le scienze umane, come la psicoanalisi, l’antropologia e la sociologia e i risultati sono stati migliori. Anche perché, strada facendo, le regole si sono rovesciate e i canoni estetici sono cambiati. Basti pensare al kitsch e al pop che conducono le danze  e all’imperfezione che si fa stile (a Cannes il trionfo dell’imperfezione si è visto con”Only God Forgives” di Nicolas Winding Refn). Poi si è messo di mezzo il postmoderno con i suoi dogmi (autoreferenzialità, gusto della citazione, contaminazione dei generi, decentramento del racconto) che hanno rimescolato le carte e sparigliato il gioco. Se una volta il cinema doveva catturare lo sguardo, incantare e sedurre sussurrando nell’orecchio di ogni singolo spettatore, oggi deve prendere per mano e dare risposte a intere platee. E così, da una piattaforma estetica che era espressione di una fruizione individualistica, la critica è passata a quella totalizzante della modernità, manifestata nel farsi interprete di sentimenti generalizzati, mentre una volta dava l’impressione di soffermarsi su storie individuali che lo spettatore sentiva come proprie finendo per  immedesimarvisi.

Un cambio di passo che si è notato dalle recensioni che hanno accompagnato film come “Il grande Gatsby” di Baz Luhrmann e “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, metafore di un Titanic che annuncia il naufragio di un’epoca; lo si è visto con la giovinezza deviata di “Jeune et Jolie” del francese François Ozon, e con quella rubata, spogliata di ogni residuo di innocenza e ingenuità di “Heli” del messicano Amat Escalante; con il tormento di un passato che riaffiora e non dà tregua (“Le passé dell’iraniano” Asghar Farhadi); con identità rubate e mondi diversi messi a confronto in “Jimmy P.” di Arnaud Desplechin; con la presenza del male e della sua banalità nel vivere sociale, trasmigrato dalla realtà individuale a quella collettiva (“A touch of sin” del cinese Jia Zangke). Quella banalità che fa di Roma la Babele dell’umanità, per tornare al film di  Sorrentino. Dove il vuoto e l’impalpabilità del nulla dominano la scena nel trionfo del non-senso.

Di questa “nuova critica” si sono avuti ampi esempi al Festival di Cannes, cronache che – come insegnava Luigi Baldacci – “stanno al passo con la contemporaneità” servendosi di categorie-guida come inquietudine, ansia, disagio per smontare valori consolidati  attraverso un rovesciamento delle idee correnti (Le idee correnti è il titolo di una sua raccolta di saggi) che nella letteratura e nel cinema della crisi hanno trovato il comune denominatore nella contrapposizione fra individuo e società. Che si è fatta sempre più massiccia e che anche nella critica sta vivendo il suo momento di grazia.