Si può morir d’amor (nel melodramma). “Il pirata” di Vincenzo Bellini nella sua Catania
@Loredana Pitino (26-09-2019)
CATANIA – Si è aperta la stagione lirica autunnale del Teatro Massimo Bellini di Catania anche quest’anno con un omaggio al catanese Vincenzo Bellini (l’anno scorso era stata riproposta l’opera prima del musicista, il saggio di diploma al Conservatorio di Napoli, Adelson e Salvini). Per precisa volontà del Direttore artistico, Francesco Nicolosi, la scelta è caduta su Il Pirata, prima opera del periodo milanese del giovane Bellini, musicata su libretto di Felice Romani. L’opera, la terza composta dopo la partenza da Catania, segnò per il giovane Bellini l’inizio di una nuova era musicale e decretò il superamento del genere rossiniano e il sodalizio con il librettista che coniugava perfettamente la tendenza verso la malinconia, la meditazione, la passione sincera e spontanea che diventeranno la cifra delle composizioni belliniane.
Durante la prima recita, a Milano, quando lo spettacolo stava per cominciare, lo sconosciuto musicista comparve accanto all’orchestra e il pubblico, dopo la sinfonia, lo accolse con grandi applausi. “L’istessa lingua italiana non ha termini come descrivere lo spirito tumultuante che investiva il pubblico, chiamandomi sul palco”. Con queste parole il giovane catanese raccontava, in una lettera ai suoi familiari, la gioia e il trionfo di quella esibizione. Ed ancora oggi, la sinfonia incanta; come incantano il duetto del primo atto tra Imogene e Gualtiero, il recitativo finale del primo atto, il duetto e poi il terzetto tra Imogene, Gualtiero ed Ernesto del secondo atto e, più di tutto, la famosa aria di Imogene che sul finale che commuove e strazia. Drammone romantico, nel Pirata tutto è assoluto, “tutto è conflitto tra amore e odio, vendetta e pietà, strazio e felicità, eros e thanatos”. La trama, nei canoni del Romanticismo, racconta di un amore impossibile e travagliato che porta alla pazzia e alla morte; è ambientato nella Sicilia del XIII sec., terra di conflitti tra Angioini, Svevi e pirati aragonesi, e la vicenda ha inizio con un naufragio che porterà sull’isola il Pirata Gualtiero che incontrerà qui la donna da lui amata e da anni perduta: Imogene. Ma la donna è andata in sposa al potentissimo Duca Ernesto sacrificando se stessa per salvare il padre. I topoi del melodramma ci sono tutti: dopo una serie di agnizioni, confessioni, giuramenti di vendetta e preghiere, i tre protagonisti andranno incontro alla morte, necessaria e risolutrice. A partire da quest’opera Bellini perfeziona il suo stile, lo rende unico, si incammina verso la perfezione che lo porterà alla “melodia infinita” dei capolavori: Sonnambula, Capuleti e Montecchi e Norma. Già qui egli costruì uno schema narrativo in cui ogni sentimento poetico sia rivestito d’una frase musicale che possa indicare l’intero pensiero di chi la pronuncia; creò una musica che fosse un’arte imitatrice della natura. A partire dal Pirata i versi e la musica si fusero perfettamente nelle mani di Bellini; non sacrificò mai i versi al canto, né il canto alla parola, né lo strumento al canto. In questa edizione del Teatro Massimo di Catania abbiamo potuto ascoltare un’esecuzione musicale dignitosissima: enfatica e ritmata (in certi tratti decisamente troppo) la direzione d’orchestra di Miquel Ortega Pujol; vibrante e cristallina la voce del soprano (Francesca Tiburzi), giusta nel suo ruolo anche scenicamente; non alla stessa altezza il tenore (Filippo Adami); potente e scura la voce del baritono. Curata e attenta la regia di Giovanni Anfuso che ha costruito visivamente la vicenda creando una serie di fotogrammi pittorici, di citazioni artistiche: si riconosceva un omaggio ad Antonello da Messina, a Géricault, a Piero della Francesca, a David; il regista ha dimostrato di rispettare lo spartito (dote sempre più rara nelle regie contemporanee), di saper fare uso sapiente delle luci che con i costumi (belli, di notevole effetto scenico) regalano allo sguardo dello spettatore una serie di immagini ricche di pathos e di emozione; particolarmente toccante il quadro speculare del duetto del primo atto. Unica perplessità non risolta sorge dall’aver tagliato – proprio eliminato – il riferimento al gesto estremo di Gualtiero che si getta dal ponte. Sul finale Imogene muore folle di quell’amore che ha consumato la sua esistenza.
Il Pirata
Teatro Massimo Bellini di Catania
Gualtiero Filippo Adami
Imogene Francesca Tiburzi
Ernesto Francesco Verna/Salvatore Grigoli
Itulbo Riccardo Palazzo
Goffredo Sinan Yan
Adele Alexandra Oikonomou
Orchestra del teatro Massimo Bellini di Catania diretta da Miquel Ortega Pujol
Regia Giovanni Anfuso
Assistente alla regia Angelo D’Agosta
Maestro del Coro Luigi Petrozziello
Scene Giovanna Giorgianni
Costumi Riccardo Cappello