Distruzione materiale e morale di un popolo. L’edizione filologica Adelphi di ‘Eros e Priapo’ di Carlo Emilio Gadda
di Lucia Tempestini 14-08-2019
«Pervenne a far correre trafelati bidelli a un suo premere di bottone su tastiera, sogno massimo dell’ex-agitatore massimalista. Pervenne alle ghette color tortora, che portava con la disinvoltura d’un orango; ai pantaloni a righe, al tight, al tubino, ovverosia bombetta, ai guanti bianchi del commendatore uricemico: dell’odiato ma pazzamente invidiato borghese. Con que’ du’ grappoloni di banane delle du’ mani che non avevano mai conosciuto un lavoro: e gli pendevano giù dai fianchi senza saper che fare.»
C’è un equivoco originario che impedisce di leggere correttamente la smoderata rancura di Eros e Priapo. Anche a causa della versione epurata imposta da Garzanti nel 1967, il pamphlet incendiario del Gaddus è stato fino a tre anni fa interpretato come una lunga invettiva – linguisticamente complessa e bizzarra – contro le macabre priapate del Buce dalle gambe a roncola.
Ma nel 2016 Paola Italia e Giorgio Pinotti hanno curato per Adelphi un’edizione basata sul manoscritto del 1944-45 che reintegra i brani resecati dall’editore, con la complicità di un Gadda ormai stanco e di un Enzo Siciliano troppo giovane, portando alla luce le intenzioni profonde dell’Ingegnere e il tessuto fiammeggiante di una lingua di derivazione e struttura machiavellico-celliniana.
Cade intanto la maschera di Alì Oco De Madrigal, e il narratore torna a dire ‘io Carlo Emilio’ senza nascondere il coinvolgimento, in quanto ex simpatizzante, nell’apocalisse antropologica, prima che storica, del Ventennio. Il cambio di prospettiva fa emergere un’opera diversa, che si pone di fronte al lettore come un coltissimo e furibondo saggio di psicologia delle masse con riverberi freudiani (non va dimenticato il culto che Gadda ebbe per Manzoni e per le riflessioni contenute nei Promessi Sposi proprio sulle viscerali reazioni collettive).
Li associati non sono più caratterizzati soltanto dalla camicia nera. Il discorso si fa più articolato e generale: li associati a delinquere cui è venuto fatto di poter taglieggiare a loro posta e coprir d’onte e stuprare la Italia, rivelando una tara, una malattia genetica nazionale il cui tanfo di decomposizione continua ad ammorbarci ancora oggi. Berciando fonemi isterici e sventolando i più vari e scombinati vessilli, sovente contrapposti, i dead men (or women) walking della contemporaneità continuano ad avvelenare ogni ambito pubblico e privato.
I due curatori hanno scritto:
Eros e Priapo si rivela molto più che un pamphlet antifascista (…) è un atto di (auto) denuncia e insieme un’autobiografia nazionale, che indaga le ragioni profonde della storia recente di un intero popolo, dopo aver mostrato lo strazio della sua distruzione materiale e morale (…) Non si tratta di utilizzare la chiave psicanalitica per capire il ventennio fascista, ma di utilizzare il ventennio fascista per capire, attraverso una degenerazione estrema, l’articolarsi del delicato rapporto tra narcisismo individuale e vivere civile. Per capire come le pulsioni dell’io agiscano in tutti i rapporti interpersonali, in tutte le dinamiche collettive, e possano, se non infrenate, portare a vent’anni di fallocrazia alimentata dal delirio di un “ippopotamo idolatra” e dalla incapacità delle masse di arginare la loro propensione all’idolatria narcissica.