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Danilo Amione- La bellezza offesa dall’uomo (“Beddamatri”, un film di Lucio D’Amico)

 

 

Il mestiere del critico


LA BELLEZZA OFFESA DALL’UOMO

“Beddamatri”, un film di Lucio D’Amico. Con Magdalena Babiarz, Salvatore Meli. Prod. ManiaCreativa-Enfap Sicilia Ragusa 2013


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Quando la finzione anticipa, ovviamente, la realtà. Uscito, profeticamente, settimane prima del tragico attentato di Palazzo Chigi, il corto dell’esordiente D’Amico (ri)visto oggi non soltanto invita  ulteriormente alla riflessione ma allarga i propri confini estetici e contenutistici fino ad abbagliare lo spettatore con un’immagine ancora più prepotentemente illuminante.

Girato,secondo la lezione di Cassavetes con una emotiva camera a mano, in uno splendido bianco e nero e senza dialoghi, il film recupera  una sorta di essenziale e indispensabile arcaicità del cinema a beneficio di un racconto quanto mai contemporaneo nelle motivazioni che lo muovono.

Una giovane impaurita perchè inseguita da un minaccioso e appassionato  corteggiatore con in mano una rosa, l’incrociarsi del suo sguardo con  l’inquietante figura di un boss mafioso, l’improvviso e metaforico suo puntare una pistola  contro siffatto mondo che la circonda: società, politica, sentimenti, tutti prevaricanti. A chiudere ogni cosa, uno sparo accidentale che decreta, con l’inattesa morte della giovane, la sconfitta, l’ennesima, della natura intesa  come autentica forma di libertà, non costretta da compromessi e capace di esaltare la bellezza come ultima speranza cui aggrapparsi anche quando svanisce.

Il postmoderno che D’Amico mette in scena è ricco di simboli arcaici evocati già dal titolo del film: la rosa, i vicoli, il marranzano della colonna sonora, il basco indossato dal corteggiatore, le colombe in piazza e un cagnolino dietro i vetri di un basso, rimandano ad un passato coerente ed essenziale nelle sue antiche  verità. L’improvviso volgersi dell’immagine verso la violenza gratuita  della contemporaneità figlia dell’apparenza materializzatasi nell’inganno collettivo, ultimo, spietato e definitivo approdo del neo-capitalismo pasoliniano, segna l’epilogo del nostro mondo nel gesto simbolico della giovane, calato in un silenzio assordante e amplificato dalla meschinità di slogan elettorali prodotti dal nulla di cui siamo preda. D’Amico afferma una prospettiva deleuziana che si pone sulla scia dell’incomunicabilità descritta dal genio di Antonioni, per approdare, infine, ad un silenzio assoluto che diventa paradossalmente salvifico.

Ed è in ciò che si evidenzia quanto l’essenza dell’immagine stia nella sintesi che essa fa del mondo. A una logica del mondo segue una immagine armonica, al mondo come Stato criminale segue un’immagine ribelle, autodistruttiva fino alla negazione di se stessa. La bellezza naturale offesa dall’organizzazione sociale si chiude su se stessa fino alla fascinazione, all’estasi. Allo spettatore il silenzioso piacere di coglierla.