Collezione di anatemi. Gli aforismi della Bulboaca, rumena che domina perfettamente l’italiano
di Amedeo Ansaldi 20-07-2019
Amelia Natalia Bulboaca (Brăila, 1984), traduttrice e studiosa di Cioran, rumena d’origine ma italiana d’adozione (e ormai, possiamo dirlo, anche d’espressione), era fin qui nota nel nostro Paese per aver pubblicato alcuni densi saggi sul Maestro in vari volumi collettanei. Ora appare presso Babbomorto Editore di Imola (nella collana “L’acero contuso”) una sua prima scelta di aforismi, raccolti sotto il titolo emblematico L’arte di non farsi sposare.
Si tratta di una plaquette, la cui esigua massa riesce tuttavia a confermare una matura, e anzi scaltrita padronanza della lingua (tale da far invidia a tanti italiani) e a testimoniare quanto la lezione del filosofo di Răşinari sia stata assorbita, e originalmente rielaborata, dall’epigona.
La breve ed esemplare «collezione di anatemi» – come lo definisce il direttore Antonio Castronuovo nel suo attento e puntuale preludio – si snoda fra tentazioni mistiche non disgiunte, forse, da venature malthusiane; vertiginosi, cosmici disincanti; il riaffiorare di ricordi di pregnanza demoniaca; il puntiglioso ripudio di qualsiasi istanza consolatoria; e, finalmente, l’onesta consapevolezza (da cui il titolo) che l’amore non rappresenti per la specie umana altro che un alibi per la sua – improvvida – perpetuazione. La Bulboaca tratteggia così un’accorta guida a quella salvifica arte del non farsi sposare che tutte le ragazze con un briciolo di giudizio dovrebbero, al giorno d’oggi, coltivare; e la lettura della silloge pone effettivamente in una disposizione di spirito tale da scoraggiare finanche il più tenace e assiduo fra i corteggiatori o, nei casi meno felici (poiché non si può avere sempre tutto), da operarne una drastica selezione.
Nella breve, pregnante raccolta (53 aforismi in tutto) emergono il disagio profondo di fronte a una modernità sempre più triviale e invasiva e la conseguente inclinazione a un’irriducibile marginalità, etica e umana prima ancora che sociale. In questo quadro di amara ma non compiaciuta misantropia e di radicale pessimismo, non dovrà dunque stupire che anche le sciagure quotidiane possano– tesi solo in apparenza paradossale – fungere da garante dell’esatto funzionamento dell’universo. Profuga di sé stessa, interprete di una Weltanschauung coerentemente anti-romantica, la Bulboaca osserva la vita nella sua intrinseca, oggettiva miseria, che solo la brillantezza dello stile e una strenua lucidità intellettuale possono ancora riscattare.
Un ulteriore tratto di somiglianza con l’amato Cioran (con il quale la nostra condivide, oltre a uno sguardo analogo sul mondo e sugli uomini, l’adozione di una lingua non nativa) è dato dalla capacità di trattare con levità e in modo talora perfino scanzonato – come una prefica ilare e festevole – temi serissimi, che altri affronterebbe invece con stucchevole gravità.
L’arte di non farsi sposare di Amelia Natalia Bulboaca, Babbomorto Editore, Imola, 2019