Da Lampedusa
LA SETTIMANA DELLA COLONNA INFAME
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Leggo ciò che di intenso, su un giornale a noi vicino, propongono Roberto Zaccaria e Domenico Gallo.
Io sono (solo?) un critico di teatro, un giornalista di “cultura” poco di “natura”, forse perché di quest’ultima, al suo stato brado, ho ancestrali paure. Ma tento lo stesso di dire la mia, trattandosi di imperativo etico, immateriale, incommensurabile.
A fine di questa lurida settimana di invereconde esibizioni sul molo di Lampedusa, mi chiedo: sapremo inventarci –e al più presto- un antisacrario della Colonna Infame alle porte di accoglienza d’Europa? In memoria (come insegna Manzoni) dei suoi ricorrenti criminali e degli ultimi, suoi derelitti “untori”, casualmente africani e delle etnie più disgraziate?
Consolarci recuperando alla memoria la millenaria dicotomia di Antigone e Creonte? Della “summa iniuria” scritta e della “diversa” morale ogni volta da “sancire” come se il passato non esistesse? Non basta…
Noi non volevamo “seppellire” ma “accogliere”. Di cimiteri e campi di sterminio fanno fiele e sfoggio quei rivoli di nuovo e corrusco Stige (fattosi pure maleodorante), sino a ieri inteso Mare Nostrum…Mediterraneo delle terre intorno affioranti. In Guerra e in Pace (sin dai tempi di Omero): puntualmente risolte in nome di una lingua (di una cultura) trasversale e navigante. Che nel gergo del Sabir, e dei pescatori senza frontiere e mappe nautiche, veniva diffusa quale strumento di tolleranza e mediazione.
Non fu dell’età dell’oro. Ma nemmeno quella del putridume (irreparabile?) in cui Minotauri e neo-sovrani tengono molto che ci si imbestialisca.
Una Colonna Infame in loro (sciagurata) memoria: iniziamo a costruirla insieme, fra chi usa “intelletto” e “buona volontà”. Purché sia radicale, inamovibile, inattaccabile. Da tramandare alle archeologie a venire, quando vivranno l’enigma del “perchè?”
Angelo Pizzuto