La ludolinguistica di Titti Mercuri. ‘Aiutati che il cell t’aiuta’, Babbomorto Editore
di Antonella Falco 12-06-2019
Si è abituati a considerare la lingua come un sistema di comunicazione, a sua volta composto da vari sottosistemi, ma raramente si pensa alle formidabili ricadute ludiche che l’uso sapiente di una lingua consente. Di questi aspetti si occupa quella branca della linguistica nota come ludolinguistica, il cui pane quotidiano sono tautogrammi, palindromi, calembour, anagrammi, panvocalismi, pangrammi, eteroletteralità, metanagrammi e altri giochetti dai nomi astrusi ma capaci di piegare la lingua a finalità ludiche e anche estetiche spesso inimmaginabili.
Nell’ambito dei giochi linguistici è maestra indiscussa Titti Mercuri, che modula sapientemente il linguaggio, inteso come unione di significato e significante, fino a formulare pirotecnici artifici verbali, arguzie, nonsense, calembour, che oltre a esprimere il piacere di giocare con le parole in libertà, sono anche un modo per cercare nuove verità, al di là della logica convenzionale, al di là dei sensi comuni e dei grigi e logori schemi della quotidianità.
È quello che accade anche nell’ultima sua creatura, Aiutati che il cell t’aiuta, appena uscita per i tipi di Babbomorto Editore. La vicenda è quella di una compratrice online compulsiva e dei suoi vani e goffi tentativi di affrancarsi da tale dipendenza. Il tutto, ovviamente, si risolve in una fantasmagorica girandola di calembour, di cui eccovi qualche spassoso assaggio:
«Lavoro alle dipendenze della mia dipendenza. Tutto dipende da ciò da cui dipendo».
«Ché tutto quello che passa il convento della rete mi prende nella rete».
«Sono un pesciolino che abbocca sempre – e che non resta mai a bocca asciutta».
«Più è inutile, tanto più mi è utile».
A fine racconto, il lettore si rende conto con un sorriso, di aver scoperto una nuova dimensione della lingua e, con essa, una nuova prospettiva da cui osservare i casi della vita, una specola privilegiata perché basata essenzialmente sull’ironia e sull’autoironia, ma anche su una logica inusuale e solo apparentemente illogica. E di essere approdato in tal modo a una nuova saggezza: quella che sa cogliere lo straordinario nell’ordinario e dimostra, una volta di più, che le vie della lingua sono infinite.